Nonostante la retorica oscurantista del “distretto parallelo” (di cui l’autrice scrive nel primo capitolo), che esaltava la separazione tra i due sistemi produttivi locali, quello tessile, prevalentemente condotto da imprenditori italiani, e quello dell’abbigliamento, prevalentemente gestito da imprenditori di nazionalità cinese, i due sistemi e la società che li ospita sono sempre stati integrati, in modo più o meno visibile e con intensità variabile, nei diversi circuiti della vita sociale ed economica. Il libro di Krause ci mostra la natura di questi intrecci, ci accompagna negli incontri con le famiglie dei migranti cinesi: ne conosciamo frammenti di vita, aspirazioni, sacrifici e scopriamo le interazioni che hanno luogo nei mercati intermedi della subfornitura così come le connessioni con altri poli della migrazione transnazionale. Un libro che pur non facendone un obiettivo teorico, evidenzia più le somiglianze che le differenze tra i diversi gruppi di residenti – distinti non solo sulla base delle nazionalità, ma anche dei percorsi migratori, del reddito, della classe e degli stili di vita. L’esperienza della migrazione è alla base del lavoro di Krause che esplora, per la prima volta con un esteso approccio etnografico, i contesti e i significati di alcuni stati d’animo e comportamenti che caratterizzano l’esperienza dei migranti cinesi, quali l’alienazione, la temporalità del lavoro, la separazione dai figli, la sensazione di inevitabilità dei sacrifici che sopportano solo in virtù delle loro aspirazioni.
“La domanda che mi viene rivolta più spesso è: perché i cinesi emigrano in Italia, e a Prato in particolare? La risposta più facile sarebbe: per fare soldi. Per una risposta più complessa bisogna scomodare il valore e la storia: centinaia di immigrati sono attirati dalla solidità e dal prestigio degli abiti Made in Italy. La speranza è quella di trovare la mela d’oro maturata sotto il sole europeo della modernità.”