Proponiamo un estratto del volume Il segno più, in cui Alberto Heimler analizza le implicazioni economiche e le scelte politiche che sono alla base delle principali questioni aperte nell’economia italiana, da trasporti, infrastrutture, servizi e appalti pubblici a piattaforme digitali, vincoli comunitari e interventi antitrust, mostrando la strada che attraverso regolazione dei mercati, incentivi all’innovazione e promozione della concorrenza conduce a una concreta e diretta crescita economica del nostro Paese.

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Tutti sembrano dare per scontato che la sanità debba essere pubblica, ma pochi si domandano perché.

La ragione principale per cui gli ospedali sono pubblici è perché lo Stato può finanziare una capacità ospedaliera adeguata ai picchi di domanda, mentre con un sistema privatistico, per ragioni di economicità, ci si deve accontentare di una capacità ospedaliera orientata a soddisfare la domanda media dell’anno. Per esempio, gli alberghi di Cortina non hanno la capacità per soddisfare l’intera domanda della settimana di Natale, perché se adeguassero l’offerta a quei picchi di domanda rischierebbero di subire delle perdite consistenti, data la domanda molto più modesta del resto dell’anno. Non è un grave danno se qualcuno è costretto a rimanere a casa per le vacanze natalizie! E difatti la politica pubblica non se ne occupa.

Viceversa, per la sanità, se in una situazione di emergenza la domanda di cure per i malati è insoddisfatta si rischia la vita.

In Italia gli ospedali sono in gran parte pubblici, ma la capacità sembra non esser stata stabilita per coprire ogni possibile emergenza, sulla base di mal compresi principi di economicità, forse causati anche dal decentramento decisionale affidato alle Regioni.

Finora le cose sono andate bene perché i picchi di domanda, causati per esempio da eventi naturali o da incidenti di massa, non hanno colpito tutte le regioni contemporaneamente, e quindi i malati/feriti in eccesso sono potuti essere smistati altrove. La flessibilità è stata raggiunta tramite un’allocazione territoriale della domanda di picco.

Il coronavirus ha colpito tutti contemporaneamente, nel mondo. Pertanto questa flessibilità organizzativa di natura territoriale e internazionale non può più operare con la medesima efficacia né per gli ospedali né per le diverse forniture sanitarie. In qualche modo (anche se dalle conseguenze incomparabilmente più gravi) è una situazione analoga alla crisi dei mutui subprime in Usa nel 2007-8, causata dall’ipotesi che i mercati immobiliari avessero una natura locale e che quindi, aggregando mutui afferenti a immobili localizzati in territori diversi, il rischio complessivo associato al mancato pagamento del singolo mutuo sarebbe diminuito.

Non ci si era accorti che esistevano condizioni economiche generali, per esempio l’andamento del ciclo economico, che influenzavano tutti i territori, e quindi la ripartizione del rischio che si pensava possibile tramite l’aggregazione in realtà non era possibile.

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In entrambi i casi si è trattato di un difetto della regolazione, tuttavia ci sono delle differenze fondamentali: la finanza ha le istituzioni deputate a evitare i rischi sistemici, ma nel caso dei mutui subprime questi rischi sono stati sottovalutati; per la sanità, oltre ai rimedi emergenziali adottati nei primi mesi, si doveva effettuare fin da marzo 2020 (e soprattutto da giugno) un ripensamento complessivo degli assetti regolatori, volto a promuovere una capacità di reazione adeguata (non solo in termini di capacità ospedaliera), anche relativamente a eventi sistemici, non più da considerare impossibili. A un anno dallo scoppio della pandemia siamo ancora in attesa.

Infine, relativamente alle decisioni sulle chiusure volte a ostacolare la diffusione del virus, un recente studio pubblicato su Nature mostra che la scelta non è semplicemente tra tenere aperti o tenere chiusi esercizi commerciali, bar e ristoranti, ma ciò che conta davvero è il grado di affollamento che si ritiene accettabile: secondo gli autori dello studio, nel contrasto tra benessere dei consumatori e la loro salute, l’ottimalità si raggiunge riducendo il numero di persone presenti nei locali dell’80%.

Tante lezioni possono essere tratte da questo studio, ma la principale è che il contrasto non è tra economia e salute, come viene spesso affermato soprattutto nel dibattito politico e sui giornali, ma tra benessere dei consumatori che acquistano quello che desiderano e consumano i loro cibi come vogliono, e la salute, loro e di tutti gli altri.

Insomma, i bar stanno aperti non per il benessere dei baristi, ma per il benessere dei loro clienti: è il benessere dei consumatori che deve essere confrontato con il rischio che la loro salute (e quella di tutti) sia messa in pericolo. Ed è questo l’obiettivo dello studio citato, del tutto coerente con i principi e i suggerimenti contenuti in questo volume.

Da Il segno più. Come riformare la regolazione a sostegno della crescita di Alberto Heimler. In alto, foto di Annie Spratt – Unsplash.

Alberto Heimler

Alberto Heimler insegna metodi di valutazione economica alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) ed è il coordinatore scientifico del diploma di esperto in appalti pubblici. È presidente del gruppo di lavoro “Concorrenza e regolazione” e vicepresidente del “Comitato concorrenza” dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Tra i suoi principali incarichi, è stato responsabile della direzione “Studi, affari internazionali e relazioni istituzionali” dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e responsabile delle politiche industriali del Centro Studi Confindustria. I suoi lavori scientifici in materia di antitrust, regolazione economica, appalti pubblici ed economia applicata sono comparsi sulle principali riviste accademiche.