Pubblichiamo un estratto da La ricchezza invisibile delle nazioni. Il ruolo nascosto delle donne nella crescita dell’Occidente di Victoria Bateman. Accademica femminista britannica specializzata in storia economica e nota per aver guidato le proteste contro la Brexit, Bateman ci propone il suo manifesto, un saggio per dare all’economia la forza di diventare una disciplina più flessibile, umana e utile, capace non solo di migliorare la vita delle donne nel mondo intero, ma anche di portare a risultati più equi e sostenibili.

__________________________________________________________

Nel loro libro Agency, Gender, and Economic Development in the World Economy 1850-2000, Jan Luiten van Zanden, Auke Rijpma e Jan Kok sostengono che è possibile spiegare come l’Occidente sia diventato ricco soltanto prendendo in esame la capacità di agire in modo libero e indipendente delle donne. Per capire se è veramente così, abbiamo bisogno di sapere quanto le donne residenti nei Paesi occidentali fossero libere rispetto a quelle residenti in altre parti del mondo, soprattutto tenuto conto che le libertà allora riconosciute in Occidente riguardavano aspetti della vita diversi da quelli rilevanti attualmente.

Gli indici della disuguaglianza di genere rilevati oggi misurano cose come la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, i divari retributivi di genere o la quota delle donne in parlamento. Le storiche economiche Sarah Carmichael e Alexandra de Pleijt con il loro collega Luiten van Zanden hanno definito un indice che, spingendosi molto più indietro nel tempo, misura le radici della disuguaglianza di genere più profonde: le pratiche interne alle famiglie. Lo hanno battezzato indice di “amichevolezza (friendliness) nei confronti delle donne”, e il suo scopo è aiutare a determinare in che misura le diverse norme familiari vigenti in varie parti del mondo sostenessero o no l’agency delle donne. Con l’aiuto del loro indice, esse hanno messo in relazione il declino di molte delle più antiche civiltà del mondo, tutte in Oriente, con l’ascesa dell’Occidente.

Le loro scoperte suggeriscono dei rapporti sessuali. Mentre l’opera di Engels ci invita a guardare ai diritti di proprietà, i lavori di Lévi-Strauss dimostrano che possono essere trattate come beni di proprietà, anziché come soggetti di diritti, le stesse donne, come accade quando sono date in dono, cedute come tributi o scambiate con altro nei matrimoni combinati. E infine dovremo prestare attenzione ai modi in cui le donne sono valutate all’interno della famiglia. Se contano solo per il proprio corpo e la capacità di generare, allora è probabile che il loro onore sessuale sia considerato da salvaguardare a tutti i costi e che dunque esse godano di pochissima libertà.

Consentitemi di cominciare confrontando Europa e Asia riguardo al momento iniziale del ciclo di vita della famiglia, ossia il matrimonio.

Mentre in Europa, nel corso del Medioevo, il consenso della futura sposa divenne una condizione essenziale per la conclusione di un matrimonio, altrove il consenso dei futuri coniugi restò sullo sfondo: “In India e Cina, erano comuni i matrimoni precoci” e “il consenso dei genitori (quanto meno delle giovani donne) rimase un requisito imprescindibile fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, sempre che non lo sia tuttora”. Mentre nel Nord Europa le donne appena sposate andavano a vivere in genere in un’abitazione propria, separata da quella dei genitori o dei suoceri, in Asia si trasferivano il più delle volte nella casa dei genitori del marito, dove godevano di poca libertà d’azione. In effetti, “la posizione delle nuore in Cina e India è generalmente descritta come miserabile”. Come osserva Das Gupta,

Le donne si trovano al fondo di due gerarchie: quella di genere e quella basata sull’età. Le giovani spose entrano nella famiglia del marito come persone di secondaria importanza e scarsa autonomia. Dal punto di vista decisionale molti altri vengono prima di loro: non solo tutti gli uomini della casa, ma anche le donne più anziane. Nella famiglia patrilocale nordeuropea, le donne sono subalterne al marito, ma non agli altri membri della famiglia. La relativa assenza di una gerarchia basata sull’età lascia alle giovani mogli una notevole libertà nella conduzione della casa 

La poliginia – l’unione matrimoniale di un uomo con più donne – era molto più frequente in Asia che in Europa, come anche il purdah, la segregazione delle donne. Le pratiche ereditarie delle famiglie europee favorivano certamente gli uomini, ma le vedove potevano ereditare la proprietà del marito, e poteva farlo anche una figlia se non aveva fratelli. Viceversa, “[i]n Cina, nel Sud Corea e nell’India nordoccidentale, la logica della patrilinearità era molto rigida”. Pur di evitare che a ereditare fosse una figlia, un padre avrebbe adottato un figlio maschio o “preso un’altra moglie o una concubina” per cercare di averne uno. Secondo Bina Agarwal, la concentrazione nei secoli della proprietà – in particolare delle terre – in mani maschili è uno dei fattori chiave del divario di genere. È stato dimostrato che le distribuzioni della proprietà poco ugualitarie nei confronti dei generi nuocciono alla prosperità economica limitando l’accesso delle donne alle garanzie necessarie ad avviare nuove imprese e abbassando i salari.

9,9920,00 IVA inclusa

In Medio Oriente, le donne occupavano una posizione “relativamente forte” a paragone di quanto accadeva in India e Cina. Era loro consentito avere proprietà e ricevere una quota (la metà) dell’eredità, e il matrimonio non comportava il passaggio a un gruppo familiare completamente diverso, cosicché “potevano continuare a contare sulla protezione del padre o dei fratelli”. Tuttavia, c’era uno svantaggio: i membri maschi della famiglia proteggevano scrupolosamente l’onore sessuale delle loro congiunte, considerato fondamentale per l’onorabilità della famiglia nel suo complesso. Le trasgressioni potevano essere punite molto severamente. Benché in termini di proprietà le donne mediorientali fossero in una posizione decisamente più forte delle donne di molte parti dell’Asia e persino delle europee sposate (non però nella stessa misura di quelle sole o vedove), per altri aspetti della vita “la loro autonomia era molto minore”. Per esempio, venivano punite molto più severamente in caso di trasgressioni sessuali, i matrimoni combinati (spesso con uomini molto anziani) erano relativamente frequenti, e vigeva una rigida separazione tra uomini e donne. Il tasso di occupazione delle donne mediorientali è sempre stato uno dei più bassi del mondo. Il loro coinvolgimento nelle attività di mercato era quasi sempre scoraggiato in quanto possibile occasione di trasgressioni sessuali e segno di una condizione di grave povertà o di disperante miseria. 

Viceversa, in Europa, soprattutto in quella nordoccidentale, non solo il matrimonio era spesso consensuale; le donne partecipavano anche comunemente alle attività di mercato. Benché non di rado fosse loro vietato produrre o vendere certi tipi di beni, in particolare dove le gilde erano forti, restavano altre opportunità di occupazione e coinvolgimento nel mercato, per quanto certo non sempre le migliori. Laurence Fontaine sottolinea che, dove la legge era sufficientemente flessibile, l’autonomia giuridica delle donne aumentava con le opportunità di mercato loro aperte, in particolare dove le autorità locali desideravano evitare l’opzione alternativa: provvedere ai poveri a proprie spese.

In effetti, come osserva Martha Howell, la famiglia nucleare, ossia il tipo di famiglia prevalente nell’Europa nordoccidentale, aveva spesso bisogno della partecipazione della donna nell’impresa familiare, a differenza di quanto accadeva nei sistemi familiari più estesi.

In Africa, non erano le famiglie nucleari a costituire le unità fondamentali della società, bensì i lignaggi, composti da circa 100-120 persone con un antenato comune, e i clan, ossia insiemi di lignaggi. Questi ultimi potevano essere patrilineari (frequenti nel nord dell’Africa subsahariana), matrilineari (come nell’Africa occidentale ed equatoriale) o bilaterali (come in Africa meridionale). Nelle società matrilineari, le donne avevano verosimilmente più agency, in particolare grazie alla proprietà, al divorzio e alla possibilità di svolgere ruoli di comando.

L’autonomia economica sembra essere stata maggiore di quella riconosciuta tanto in Asia quanto in Medio Oriente. Le donne coltivavano la terra e partecipavano non di rado alle attività commerciali, in particolare nell’Africa occidentale. L’altra faccia di questa medaglia era che la responsabilità di provvedere al benessere dei figli ricadeva quasi per intero sulle loro spalle. E poiché tendevano a sposarsi molto giovani e finivano di conseguenza con l’avere molti figli, non si trattava certo di un compito invidiabile. Non solo: tenuto conto che, diversamente da quel che accadeva in Europa, il matrimonio era sempre “uno scambio tra lignaggi” per il quale non era richiesto il consenso della sposa, era anche un duro lavoro cui le donne si trovavano costrette senza averlo scelto. Diversamente da quel che accadeva in Europa, le donne avevano poca voce in capitolo riguardo al proprio matrimonio e allo sposo, e la poliginia era comune. Poiché il lavoro era scarso rispetto alla terra, le donne africane erano generalmente considerate una risorsa produttiva dalla quale estrarre plusvalore, per usare l’espressione di Marx. Clare Robertson ha scritto che “nella poco popolosa Africa precoloniale, l’acquisizione e il controllo del lavoro costituiva la base della ricchezza. Il surplus agricolo generato dalle donne consentiva agli uomini di procurarsi altre mogli e altri figli, e perciò ricchezza e potere politico”. 

Secondo Catherine Coquery-Vidrovitch,

[s]i dice che il re del Ganda, in Africa centrale, avesse avuto diverse centinaia e persino migliaia di mogli; Mutesa, nel Diciannovesimo secolo, ne aveva tre o quattrocento. Ogni lignaggio che aspirava a cariche politiche donava al re diverse giovani. Chi aveva bisogno di un favore o voleva che una sua offesa fosse condonata gli avrebbe offerto una o due figlie

Il coinvolgimento delle donne nell’attività produttiva e la loro profonda conoscenza della terra avrebbero forse potuto trasformarsi in motori della produttività. Insieme alla scarsità del lavoro, la necessità di  produrre per sostenere la famiglia costituiva di certo un forte incentivo. Perciò, in un certo senso, l’Africa avrebbe potuto prendere il posto dell’Europa. Il problema era che, diversamente dagli uomini responsabili della produzione in Europa, le donne africane mancavano dei capitali, del potere e delle competenze formali necessari a produrre i tipi di cambiamento capaci di dare impulso alla produttività. Per citare ancora una volta Claire Robertson, “le risorse tendevano a passare dalle donne agli uomini”. Inoltre, mentre in Europa le accuse e i processi di stregoneria scomparvero dopo il Diciassettesimo secolo, in molte regioni africane sopravvissero a lungo, con il risultato che sarebbe stato pericoloso per una donna emergere sperimentando qualcosa di nuovo (per esempio una varietà di semi migliore) o sfidando le autorità esistenti (maschili). In effetti, la sottomissione agli uomini era insegnata alle bambine fin dai primi anni di età anche per mezzo di iniziazioni dolorose. Commetteremmo un errore se descrivessimo le donne africane come vittime, ma sbaglieremmo anche presentandole come libere di scegliere e nella condizione di controllare la propria esistenza.

Un fattore di cui fin qui non abbiamo parlato è la compensazione matrimoniale costituita dal prezzo della sposa o dalla dote. In base alle ricerche disponibili, il 66 per cento delle società avrebbe strutture familiari che richiedono allo sposo di pagare per la sposa (sono di questo tipo per esempio le comunità dell’Africa subsahariana), mentre quest’ultima porterebbe con sé una dote nel 4 per cento di tutte le società (alcune delle quali si trovano in Asia meridionale). Il pagamento di un prezzo per la sposa sarebbe relativamente più comune nelle società agricole; la dote in quelle in cui il mercato ha un ruolo di maggiore rilievo, ma nelle quali le donne non hanno accesso alle attività commerciali e dopo il matrimonio passano nella famiglia dei suoceri (portando appunto con sé la propria dote). Maristella Botticini e Aloysius Siow sostengono che, dove la si considera l’eredità delle figlie, la dote può costituire un incentivo al lavoro degli uomini poiché, una volta che le sorelle saranno sposate, i figli avranno una ragione in più per darsi da fare, considerato che riceveranno tutta la ricchezza rimanente della famiglia. In Europa, la dote era più comune del pagamento di un prezzo per la sposa, ma ha perso rilevanza nel tempo, segno che le donne stavano trovando nuove opportunità fuori casa e la struttura familiare era in evoluzione contrario di quanto sta accadendo oggi in India, dove l’usanza della dote sta assumendo crescente importanza, e dove dunque le donne stanno evidentemente affrontando circostanze di tutt’altro tipo rispetto a quelle che hanno caratterizzato l’Europa negli ultimi secoli.

Se volessimo condensare i nostri confronti globali in un’unica misura delle differenze tra l’esperienza delle donne europee e quella delle donne di altri continenti, potremmo prendere l’età media delle spose al primo matrimonio.

In generale, come vedremo nel prossimo paragrafo, dove si sposano relativamente tardi, le donne subiscono anche meno coercizioni e godono di maggiore libertà d’azione. Nel Diciottesimo secolo, nel Nord Europa – la patria della Rivoluzione industriale –, le donne non si sposavano prima dei venticinque anni. In nessun altro continente succedeva lo stesso: in Medio Oriente, “si sposavano appena raggiunta la pubertà”; in Cina tra i 14 e i 18 anni; e in Africa e India, i matrimoni precoci sono comuni anche oggi.

[…] Nessuno di questi confronti regionali dovrebbe indurci a supporre che la vita delle donne in Europa fosse facile. Nulla di più lontano dal vero. La legge riconosceva loro molti meno diritti civili e politici che agli uomini, e il diritto di famiglia ha assegnato loro una posizione di subordinazione ai mariti fino alla fine del Diciannovesimo secolo o all’inizio del Ventesimo. Le donne in grado di leggere e scrivere erano meno numerose degli uomini e accedevano a percorsi di apprendistato formali o agli studi superiori solo di rado. In genere erano pagate la metà degli uomini anche se svolgevano lo stesso lavoro, e spesso dopo il matrimonio perdevano il controllo delle loro proprietà e il diritto di stipulare contratti. Tuttavia, rispetto alla maggioranza delle altre regioni del mondo è indubbio che era un vantaggio per una donna vivere in Europa, in particolare se risiedeva nella parte nordoccidentale del continente. Come ha scritto Wiesner-Hanks, 

“[i] visitatori provenienti dall’Europa meridionale e orientale erano spesso colpiti dalle ‘libertà’ delle cittadine dell’Europa settentrionale”. In Nord Europa, le donne tendevano a sposarsi intorno ai venticinque anni, e i loro mariti non avevano in genere che due o tre anni più di loro; nell’Europa meridionale e orientale, era frequente che lo facessero nell’adolescenza, e con uomini più vecchi di loro di dieci, venti o anche ì più anni, un chiaro segno della loro netta minore autonomia.

Come si è ricordato più sopra, nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, vi fu in tutta Europa un giro di vite riguardo alle libertà delle donne, nel quale si può forse vedere una sorta di reazione avversa alle loro notevoli conquiste. Si tornò al piuttosto rigido diritto romano abrogando molti dei passi avanti giuridici compiuti dalle donne a livello locale, si intensificò la sorveglianza sulle donne non sposate, si inasprirono le pene previste per il ricorso all’aborto, e aumentò il numero dei processi per stregoneria. La Gran Bretagna non sfuggì a questo generale arretramento ma ne uscì relativamente meglio. Il sistema giuridico anglosassone, la cosiddetta common law, impedì al diritto romano di imporsi, mentre il passaggio al protestantesimo si tradusse in atteggiamenti verso il sesso e il corpo delle donne più liberali. Anche i processi per stregoneria furono in Gran Bretagna (come in Olanda e in Scandinavia) relativamente pochi. Benché decisamente lontana dalla perfezione (e quanto lo fosse anche dal punto di vista razziale lo mostrava bene l’abominio dei rapporti internazionali), la relativa uguaglianza di genere di cui godevano le donne inglesi rispetto a quelle di altre parti del mondo, ma anche d’Europa, è senz’altro degna di nota. Se si aprono gli occhi alle esperienze delle donne, è facile spiegare perché nella competizione economica globale l’Occidente sia riuscito a raggiungere e a superare il resto del mondo, e soprattutto perché per prima l’abbia fatto la Gran Bretagna.

Da La ricchezza invisibile delle nazioni di Victoria Bateman. In altro, foto dalla Boston Public Library – Unsplash 

Victoria Bateman

Victoria Bateman insegna economia all’Università di Cambridge. Sostenitrice della necessità di una rivoluzione sessuale nel pensiero economico e del ruolo dell’arte nella lotta politica, è nota in patria per aver guidato le proteste contro la Brexit e aver dato vita un movimento ispirato ai temi del libro. La ricchezza invisibile delle nazioni è il suo primo libro tradotto in italiano.