Gran parte dell’attività politica è routine, quotidianità lavorativa, che è meglio lasciare ai professionisti del settore. Chi non lo è non ha tempo per un’attività del genere; cionondimeno svolge sovente un lavoro assai simile in organizzazioni di tipo non apertamente politico. Ma il lavoro di routine è adatto soltanto a situazioni di routine. In momenti di crisi, i professionisti risultano spesso inadeguati, e in momenti critici, o di presa di coscienza di soprusi o ingiustizie, non sanno che pesci pigliare.

In tali circostanze, il sistema democratico sollecita fortemente i non professionisti ad arruolarsi in politica; li invita all’impegno e alla partecipazione. Più raramente non si tratta di arruolarsi a una causa bensì di arruolamento nelle forze armate, allora la routine viene meno e a un gran numero di uomini e di donne s’impongono scelte drammatiche, anche perché persone politicamente passive si trovano coinvolte dall’oggi al domani nell’attivismo proprio dei movimenti.*

Persone, è bene precisare, non necessariamente sprovvedute, ma che sono spesso poco consapevoli della complessità della politica. Poco consapevoli dei rischi che si corrono sul piano personale, poco preparate all’ostilità e al conflitto, a disagio davanti alle infinite astuzie della retorica e del comportamento manipolatorio della comunicazione, s’impegnano tuttavia in associazioni, campagne, movimenti, cercando di contemperare la loro percezione del “qualcosa che non va” e il loro impulso al cambiamento. Questo libretto è dedicato a questi inesperti come me, affinché il poco che impariamo non diventi un segreto di fabbricazione.

Ognuno ha una sua percezione della crisi e la sua personale indignazione. Finché non le condividerà, e ampiamente, la maggior parte di noi le affronterà, le patirà, le reprimerà e le rimuoverà in privato.

Il profeta solitario attraversa il suo deserto tra la disattenzione, il dileggio e la scontrosità altrui, rivolgendosi a persone che non vogliono prestargli ascolto. Può valere (talvolta) la pena tentare, ma la maggior parte di noi impara a starsene zitto e buono.

L’attivismo politico è possibile unicamente quando l’espressione dell’indignazione e la prospettiva di un disastro suscitano una certa reazione se non altro nella cerchia dei nostri conoscenti. Possiamo verificare come reagiscono i nostri amici. La decisione effettiva di entrare nell’arena politica sarà quasi certamente presa solo da un piccolo gruppo, il quale però dovrebbe essere composto unicamente da persone che abbiano delle seppur vaghe idee di crescita.

Da dove possono venire queste idee? Auspicabilmente, da conversazioni e incontri con altre persone, da indizi del loro impegno, da plausibili segni di interesse. Gli aspiranti attivisti devono avere una certa percezione della loro futura constituency (“base sociale”); devono sapere, prima ancora di farsi avanti e lanciare appelli all’azione, se e quante persone aderiranno allo sciopero, presenzieranno alle riunioni, parteciperanno alle marce.

Vorrei intanto mettere in guardia dalle suggestioni della pura teoria, dalle astrusità di discettazioni ipersofisticate. Il discorso politico elaborato nell’ambito ristretto dei circoli accademici o di ambienti settari non è sufficiente a fondare l’azione politica.

Solleverò in seguito alcuni problemi propri della politica settaria. Occorre tuttavia menzionarne sin da subito una caratteristica specifica: la volontà di agire sulla base di una qualche visione teorica del futuro senza tenere in alcun conto l’esperienza presente. Sorgono in tal modo partiti e movimenti fondati unicamente sulla fervente aspettativa dei più fedeli. Se non si verificano gli eventi previsti, mentre aumenta la probabilità del verificarsi di quelli imprevisti, è probabile che il gruppo dei fedeli resti piuttosto limitato.

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Ci sono diversi modi di affrontare questa difficoltà, come suggerisce la lunga vicenda storica del cristianesimo; ma molto più numerosi sono i modi che non funzionano. Donde le sette politiche della sinistra, ciascuna frutto di un’iniziativa per la quale, indipendentemente dal verdetto del futuro, il presente non risulta mai pronto.

Va pur detto che le iniziative settarie sono perlomeno precedute da ampie speculazioni sugli esiti e sulle possibili conseguenze. Assai più pericolosa è pertanto la sconsideratezza della massima pronunciata nel 1793 da un capo giacobino: On s’engage et puis on voit (“Ci si impegna poi si vede”).** Vedrò poi che cosa succede.

Ovvero, che trovi sostegno o non lo trovi, che il mio impegno sia ripagato oppure no, che il coinvolgimento degli altri sia possibile o meno, e nel caso quale che sia la sua misura, io agisco comunque, nella speranza di un beneficio per quanto incerto o, addirittura, senza alcuna speranza. Il che spesso significa che la mia azione è dettata da rabbia personale e frustrazione così perentorie, così insopportabili, che fare comunque qualcosa subito diventa assai più urgente che ottenere qualche risultato in seguito.

Personalmente ho provato sentimenti del genere e ho visto altri esserne vittime. Ma la motivazione politica è qualcosa di piuttosto diverso. Diventiamo uomini politici quando agiamo per motivazioni pubbliche, non private o, perlomeno, se aggiungiamo ragioni di carattere sociale alle nostre personali, e quando immaginiamo gli effetti di ciò che facciamo tenendo in considerazione gli altri quanto noi stessi.

L’azione politica è con o per gli altri, e sebbene si possano considerare i nostri sentimenti personali molto importanti (come peraltro comunemente avviene), essi sono, di fatto, meno importanti dei sentimenti inevitabilmente “non personali” che nutriamo per gli altri che sono coinvolti nell’agire di questo gruppo, a favore di questo gruppo, contro quel gruppo di uomini e donne che non possiamo realmente conoscere.

Un gran numero di uomini e di donne pronti ad agire assieme senza conoscersi, indifferenti alla politica professionale e alla sua routine, sono gli ingredienti del momento politico. I protagonisti del momento sono un piccolo numero di uomini e di donne che riconoscono le urgenze attuali e le rendono pubbliche. Queste urgenze hanno una duplice origine.

Da un lato la percezione di stare subendo un sopruso piuttosto diffuso, l’interesse di classe, la solidarietà etnica tendono a generare un’azione politica dei cittadini verosimilmente orientata a evolvere in politica professionale e quindi a tralasciare alleanze e associazioni difensive permanenti. Per esempio, solo il periodo iniziale del movimento operaio, e poi delle varie organizzazioni sindacali, fornisce chiari esempi di partecipazione amatoriale, benché ogni sciopero veda la nascita di nuovi attivisti estranei ai manierismi di professione eppure politicamente competenti in svariati modi.

Dall’altro lato, se si guarda per esempio alla lotta delle donne per il suffragio, questo è sempre stato un movimento urbano; né ha mai generato un sindacato femminile di carattere professionale, anche per- ché, ottenuto il suffragio, non si vedeva la necessità di un’organizzazione femminile attiva.

Indignazione morale, collera e sofferenza suscitate dalle ingiustizie commesse nella nostra società, e dal nostro governo al di là dell’oceano, producono un genere d’azione politica destinata a rimanere appannaggio della popolazione urbana, in gran parte perché la sua incidenza e la sua durata nel tempo sono decisamente imprevedibili.

I professionisti della politica cercano di tanto in tanto il sostegno di questi cittadini, peraltro piuttosto restii a concederlo. In ogni caso, i politici sono raramente presenti nei momenti iniziali dei movimenti. I primi tentativi di affrontare una crisi, di porre fine all’ingiustizia hanno avuto inizio, senza di loro e nonostante loro, nel momento in cui un gruppo di cittadini convoca una riunione, dibatte di strategie, progetta una nuova organizzazione.

*Walzer allude al movimento di renitenza alla leva affermatosi nel corso della Guerra del Vietnam e alla drammatica scelta, imposta ai giovani statunitensi contrari al conflitto, tra l’arruolarsi e il disertare, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate [N.d.T.].

**Il capo giacobino cui ironicamente Walzer fa riferimento è Napoleone Bonaparte [N.d.R.].

 

Michael Walzer

Michael Walzer

Michael Walzer, tra i più importanti pensatori politici contemporanei, è Professore emerito a Princeton. Ha legato il suo nome alla storica rivista Dissent, di cui è stato per decenni prima redattore e poi direttore. È autore di numerosi volumi tra i quali Sfere di giustizia (Laterza, 1983) e Esodo e rivoluzione (Feltrinelli, 1986).