Proponiamo un estratto del volume Cause naturali. La vita, la salute e l’illusione del controllo. Barbara Ehrenreich, tra le più importanti voci contemporanee su salute, diritti delle donne, disuguaglianze economiche e sociali, riflette sull’ossessione per il benessere fisico e ci incoraggia a ripensare il progetto del controllo personale sul nostro corpo e sulla nostra mente.

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Da ragazza aspiravo a essere una scienziata, ma troppi eventi mi hanno distratto da quell’obiettivo e così sono diventata un’appassionata di scienza. Non mi piace l’idea di passare la vita in un laboratorio o in un osservatorio, a registrare pazientemente le mie misurazioni, ma sono più che disposta a leggere le relazioni di quelli che lo fanno, che il soggetto sia l’astronomia o la biochimica. In genere consumo quei resoconti in forma premasticata, ricorrendo per esempio a Discover o a Scientific American. Dieci anni fa, in quest’ultima rivista, ho trovato qualcosa di così sconvolgente che non ho potuto fare a meno di pensare: questo cambia tutto.*

L’articolo, scritto da uno dei redattori di Scientific American, riportava che il sistema immunitario in realtà favorisce la formazione e la diffusione dei tumori, il che equivale a dire che il corpo dei vigili del fuoco sarebbe in realtà costituito da piromani. Sappiamo tutti che la funzione del sistema immunitario è quella di proteggerci, più comunemente da batteri e virus; quindi ci si aspetterebbe di vedere la reazione al cancro come una difesa concertata e bellicosa. Da studentessa laureata, avevo lavorato in due diversi laboratori impegnati a studiare le difese operate dal sistema immunitario, ed ero arrivata a vederlo come un magico e in gran parte invisibile manto protettivo. Potevo, per così dire, muovermi nell’ombra della valle della morte, o espormi a microbi micidiali, e non essere toccata da alcun male, perché le cellule immunitarie e gli anticorpi mi avrebbero tenuta al sicuro da ogni danno. E invece, eccoli schierarsi dall’altra parte.

Avevo una mezza speranza che le accuse al sistema immunitario venissero confutate di lì a qualche anno e finissero nel bidone dei “risultati non riproducibili”. Invece perdurarono e oggi sono apertamente riconosciute dagli specialisti del campo, anche se non senza un certo disagio, evidenziato dalla frequenza con cui compare la parola “paradossale”. Non è questo il genere di parola che ci si aspetta di trovare nella letteratura scientifica, a cui mi ero rivolta abbandonando le riviste popolari. Nella scienza, se qualcosa sembra essere un “paradosso”, vuol dire che c’è ancora un bel po’ di lavoro da fare per risolverlo – oppure, ovviamente, che bisogna abbandonare alcuni degli assunti di partenza e mettersi alla ricerca di un nuovo paradigma.

Il paradosso del rapporto tra sistema immunitario e cancro non è solo un puzzle scientifico, ma possiede anche profonde risonanze morali.

Sappiamo che il sistema immunitario è ritenuto un “bene” e nella letteratura popolare sulla salute veniamo sollecitati a prendere le misure atte a rinforzarlo. Gli ammalati di tumore in particolare sono esortati a “pensare positivo”, in base alla teoria mai provata che il sistema immunitario sia il canale di comunicazione tra la propria mente conscia e il proprio corpo evidentemente inconscio. Ma se il sistema immunitario può davvero consentire la crescita e la diffusione del cancro, niente potrebbe essere peggio per il paziente che ritrovarsene uno più forte. Per l’ammalato o l’ammalata sarebbe un miglior consiglio sopprimerlo, per mezzo, ad esempio, di farmaci immunosoppressori o magari di “pensieri negativi”.

Nel mondo ideale immaginato dai biologi della metà del Ventesimo secolo, il sistema immunitario teneva costantemente sotto controllo le cellule che incontrava, agguantando e distruggendo quelle aberranti. Quest’opera di monitoraggio, chiamata immunosorveglianza, si riteneva che garantisse un corpo ripulito dagli intrusi, o da ogni genere di personaggio sospetto, cellule tumorali comprese. Ma, verso la fine del secolo, si fece sempre più evidente che il sistema immunitario non solo dava il via libera alle cellule del cancro, e in senso figurato le lasciava passare attraverso i check- point: perversamente, e contro ogni ragione biologica, le aiutava a diffondersi e a impiantare nuovi tumori in tutto il corpo.

La cosa mi toccò personalmente. Intanto, nel 2000 mi avevano diagnosticato un tumore al seno, e questa è una delle tante tipologie di cancro che, si è scoperto, vengono abilitate dal sistema immunitario. Il mio, al momento della sua scoperta, aveva raggiunto solo un linfonodo, ma da lì aveva la possibilità di spingersi fino a raggiungere – “Dio non voglia”, come devotamente la mettono sempre i medici – il fegato o le ossa. L’altra mia implicazione personale aveva a che fare con il genere di cellule immunitarie che si erano rivelate attive nel permettere l’espansione del tumore: vengono chiamate macrofagi, che vuol dire “grandi mangiatori”.

Come capita, sono più informata sui macrofagi che su ogni altro tipo di cellula umana, il che però non vuol dire che ne sappia poi tanto. Ma per svariati motivi avevo finito per fare dei macrofagi il tema della mia tesi universitaria, e non a causa della loro relazione con il cancro, della quale al tempo non si aveva il minimo sospetto. I macrofagi sono considerati i “difensori di prima linea” nell’incessante lotta del corpo contro gli invasori microbici. Sono grandi, a paragone di molte altre cellule del corpo, uccidono i microbi divorandoli, e di solito sono famelici. Coltivavo macrofagi in recipienti di vetro, li studiavo al microscopio, etichettavo le particelle al loro interno con traccianti radioattivi, e in generale facevo tutto ciò che uno studente può fare per capire queste minuscole forme di vita. Pensavo che fossero miei amici.

Nel frattempo ero passata a studiare e a scrivere di eventi in scala ben più vasta – corpi umani interi e, ancora oltre, le società. Da sociologa dilettante, avevo visto il sistema sanitario del mio paese crescere da quella che era una “attività artigianale” fino a trasformarsi in un’impresa da tremila miliardi di dollari l’anno – investendo milioni, dominando quartieri e anche orizzonti cittadini, scatenando lotte politiche su chi dovesse pagare e conda nando i politici che sceglievano la risposta sbagliata. E che cosa ha da offrire questa impresa a coloro che non vi partecipano direttamente? La promessa è la longevità, assieme alla libertà dalla disabilità, a un parto sicuro e a bambini in buona salute.

In una sola parola, ci offre il controllo – non sul nostro governo o sul nostro ambiente sociale, ma sui nostri corpi.

I più ambiziosi tra noi cercano di controllare le persone che hanno intorno, i loro dipendenti, per esempio, e i subordinati in generale. Ma anche dalla persona più modesta e senza pretese ci si aspetta la volontà di controllare ciò che si trova all’interno della sua pelle. Cerchiamo avidamente di controllare peso e forma con la dieta e gli esercizi fisici e, se tutto il resto fallisce, con interventi chirurgici. Anche l’intera penombra di pensieri ed emozioni che hanno origine nei nostri corpi fisici richiede attenzione e manipolazione. Ci sentiamo dire fin da bambini che dobbiamo controllare le nostre emozioni e mentre cresciamo ci vengono offerte dozzine di algoritmi per farlo, dalla meditazione alla psicoterapia. In età più avanzata, veniamo spinti a mantenere attivo il nostro intelletto con giochi mentalmente impegnativi come Lumosity e Sudoku. Non c’è niente in noi che non sia potenzialmente soggetto al nostro controllo.

Talmente pervasiva è l’insistenza sul controllo che possiamo ritenerci legittimamente autorizzati a ricorrere a dosi omeopatiche del suo opposto – un’avventura con uno sconosciuto, una sbronza notturna in città, un festeggiamento sfrenato della nostra squadra. I più ricchi e potenti possono con- cedersi un contatto con il fuori-controllo sotto forma di “vacanza d’avventura”, organizzata in una località esotica e comprensiva di attività rischiose, come arrampicate in montagna o lanci col paracadute. Finita la vacanza, possono ritornare ai loro regimi di padronanza di sé e controllo.

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Ma nonostante i nostri sforzi, non tutto è potenzialmente sotto il nostro controllo, neppure il nostro corpo e la nostra mente. Questa è stata la prima lezione impartitami dai macrofagi che perversamente promuovono tumori letali. Il corpo – o, per usare una forma più innovativa, il “corpo-mente” (in originale “mindbody”; NdT) – non è una macchina che procede senza intoppi e dove ogni elemento esegue docilmente il suo compito a vantaggio del bene comune. Nel migliore dei casi è una confederazione di parti – cellule, tessuti, ma anche modelli di pensiero – ognuna delle quali può portare avanti i propri obiettivi, che siano o meno distruttivi per l’insieme. Che cos’è in fin dei conti il cancro se non una ribellione cellulare contro l’intero organismo? Persino condizioni apparentemente benigne come la gravidanza si stanno rivelando attivate da competizione e conflitto su una ridottissima scala.

Lo so che in un’epoca in cui tanto la medicina convenzionale quanto le più nebulose “alternative” mettono a disposizione l’obiettivo della padronanza di sé, o almeno la promessa che potremo prolungare la nostra vita e migliorare la nostra salute controllando accuratamente i nostri stili di vita, molti troveranno questa prospettiva deludente, se non addirittura disfattista. Che senso ha calibrare minuziosamente l’alimentazione e il tempo passato sul tapis roulant quando si può finire sbaragliati da qualche cellula maligna all’interno del nostro corpo?

Ma questa è solo la prima lezione dei proditori macrofagi che hanno ispirato questo libro, e la storia non finisce qui. Risulta che molte cellule all’interno del corpo sono in possesso di quello che i biologi sono arrivati a definire “decisionismo cellulare”. Alcune cellule possono “decidere” dove andare e cosa fare senza alcuna istruzione proveniente da un’autorità centrale, quasi come se fossero dotate di “libero arbitrio”. Una libertà analoga, come vedremo, si estende a molte briciole di materia che abitualmente vengono ritenute non viventi, come i virus e persino gli atomi.

Cose che mi avevano insegnato a considerare inerti, passive o semplicemente insignificanti – come le cellule individuali – sono in realtà capaci di prendere decisioni, anche molto brutte. Non è esagerato dire che il mondo naturale, come stiamo arrivando a vederlo, pulsa di qualcosa come la “vita”. E, come concluderò, questa visione dovrebbe formare il modo in cui pensiamo, non solo alle nostre vite, ma anche alla morte e al modo in cui moriamo.

Questo libro non si può sintetizzare in un paio di frasi, ma eccone grosso modo una mappa: la prima metà è dedicata a descrivere la ricerca del controllo mediante le cure mediche, gli adeguamenti dello “stile di vita” con l’esercizio fisico, la dieta e con una nebulosa ma sempre crescente industria del “benessere” che abbraccia sia il corpo sia la mente. Tutte queste forme di intervento sollevano interrogativi sui limiti del controllo umano, il che ci porta nel regno della biologia – cosa c’è dentro il corpo e se le sue parti ed elementi sono in qualche modo soggetti al consapevole controllo umano. Formano un complesso armonioso o sono impegnati in un eterno conflitto?

Presento il caso scientifico emergente offrendo una visione distopica del corpo – non come una macchina perfettamente ordinata, ma come un terreno di scontro ininterrotto a livello cellulare, che si conclude, almeno in tutti i casi di cui siamo a conoscenza, con la morte. In conclusione, alla fine di questo libro, se non alla fine delle nostre vite individuali, veniamo lasciati con l’inevitabile domanda “Che cosa sono io?”, o voi. Che cosa è il “sé”, se non è radicato in un corpo armonioso, e comunque, a cosa ci serve?

Qui non troverete consigli su “come fare”, suggerimenti su come prolungare la vita, migliorando il regime alimentare e quello degli esercizi fisici, o su come indirizzare il vostro modo di fare in una direzione più salutare.

Più che altro, spero che questo libro vi incoraggi a ripensare il progetto del controllo personale sul vostro corpo e sulla vostra mente.

Piacerebbe a tutti vivere una vita più lunga e più sana; la questione è quanta parte delle nostre vite dovrebbe essere dedicata a questo progetto, quando noi tutti, o almeno la gran parte di noi, abbiamo altre cose, spesso più importanti, da fare. I militari cercano di raggiungere la migliore forma fisica, ma sono pronti a morire in battaglia. Chi lavora nel campo della sanità rischia la vita per salvare gli altri durante carestie ed epidemie. I buoni samaritani gettano il proprio corpo tra gli aggressori e le loro vittime designate.

Si può pensare alla morte con amarezza o con rassegnazione, come una tragica interruzione della propria vita, e prendere ogni misura possibile per rinviarla. Oppure, più realisticamente, si può vedere la vita come l’interruzione di un’eternità di personale inesistenza, e coglierla come una breve occasione per osservare e interagire con il mondo vivente, sempre sorprendente, che ci circonda.

*This changes everything, nel testo originale, è un saggio del 2014 di Naomi Klein, tradotto in italiano da Rizzoli nel 2015 con il titolo Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile. NdT.

Da Cause naturali. La vita, la salute e l’illusione del controllo di Barbara Ehrenreich, in libreria dal 20 maggio. In alto, foto di Callie GibsonUnsplash

Barbara Ehrenreich

Barbara Ehrenreich

Barbara Ehrenreich è una giornalista, scrittrice e attivista politica tre le più importanti voci contemporanee su salute, diritti delle donne, disuguaglianze economiche e sociali. È autrice, tra gli altri, di Riti di sangue (Feltrinelli, 1998) e Una paga da fame (Feltrinelli, 2004).