Proponiamo un estratto dall’introduzione dell’edizione italiana di Cyclonopedia di Reza Negarestani, firmata da Sebastiano Maffettone, professore di filosofia politica alla Luiss. Considerato un testo centrale della theory fiction, Cyclonopedia è un’opera filosofica che mescola generi e discipline, dalla letteratura horror al saggio scientifico, dalla teologia all’occultismo, dalla geopolitica all’ecologia, ponendosi come uno dei lavori più originali del Ventunesimo secolo.
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Preludio
“Quando i fatti cambiano, io cambio la mia opinione” sosteneva John Maynard Keynes. E non c’è dubbio che il mondo intorno a noi sia mutato profondamente a causa della rivoluzione digitale, dei progressi della genetica, delle nuove forme di produzione. Gli effetti di questi mutamenti sono evidenti nella vita economica, politica e personale degli esseri umani. In che senso è, però, cambiato il pensiero, a cominciare da quella sua espressione tipica che è la filosofia?
Come è semplice immaginare, è molto difficile rispondere a una domanda del genere. In termini molto generali, si potrebbe suggerire che la filosofia oggi si muova oscillando tra una riflessione tradizionale e accademica, talvolta di buona qualità ma senza capacità di rispondere alle grandi domande sul nostro tempo, e un insieme di movimenti intellettuali, spesso anche disordinati e talvolta incoerenti, che però sembrano interrogarsi in maniera interessante sul presente. Testimonianza di questo fatto è costituita dall’attrazione provata da numerosi giovani lettori per una filosofia underground, latente, non-accademica, legata a movimenti artistici cyber e techno, indubbiamente attuale anche se di difficile valutazione dal punto di vista critico.
Una constatazione generale come questa è sembrata indispensabile per introdurre un libro “impossibile” come Cyclonopedia di Reza Negarestani. Un libro, quest’ultimo, a metà strada tra il saggio e il racconto, tra l’analisi e la mistica, tra la nostalgia e il futuro. Una Odissea popolata da trafficanti di petrolio, archeologi e jihadisti che mescola senza timore geotellurica e religione, storia del Medio Oriente e presente economico, satanismo e speranza, il tutto in maniera volontariamente caotica e talora financo perversa.
Se comunque il libro che state per leggere è alquanto misterioso, non si può dire che il suo autore – l’artista e filosofo Reza Negarestani – sia particolarmente noto, e per taluni addirittura sarebbe un personaggio di fantasia.
Da quel che si riesce a capire, Negarestani è iraniano, ma residente all’estero (sembra negli Stati Uniti), avrebbe frequentato Nick Land e la sua Cybernetic Culture Research Unit in Inghilterra verso la fine degli anni Novanta. Nel suo bagaglio filosofico deve esserci la conoscenza di Deleuze e Guattari, ma con il tempo ha anche approfondito quella della filosofia classica tedesca a cominciare da Kant e Hegel.
Sua opera più nota è senza dubbio Cyclonopedia, che ha avuto una buona accoglienza in Francia e nei dipartimenti di humanities e cultural studies anglosassoni, e ha circolato in quella strano miscuglio di filosofie alternative che include il realismo magico, l’accelerazionismo, il neo-materialismo, il realismo speculativo, il neogotico alla H.P.Lovecraft […].
Cyclonopedia
Poche opere come Cyclonopedia esemplificano il bisogno di misticismo e di magico che stanno dietro alla nuova metafisica, quel suo presentarsi spesso come un sostituto del sacro in tempi di crisi profonda della normatività. Il libro riprende in apparenza l’opera scientifica di un mitico studioso persiano, Hamid Parsani, a cominciare dal suo opus magnum intitolato Defacing the ancient Persia, oltre che seguire le complesse vicende politiche ed esistenziali dello stesso Parsani. Col passare delle pagine, tra l’altro, si comprende che le due cose non sono separabili. La vita e l’opera di Parsani costituiscono infatti un unicum inseparabile e, con ogni probabilità, lo stesso vale per Cyclonopedia e il suo autore. Cosa quest’ultima che consente il mescolarsi continuo nel libro di spunti narrativi e saggistici. Oggetto principale del libro è il Medio Oriente, visto però non come pura entità geografica o politica ma alla guisa di un essere vivente e senziente.
Del Medio Oriente così concepito interessano innanzitutto tre enigmi, ricorrenti nell’opera di Parsani, che in qualche modo costituiscono il leitmotiv prevalente anche di questo libro:
i) Il cosiddetto “complesso ()hole” altresì denominato “poromeccanica”, corrispondente alla generazione del Tutto a partire da uno spazio bucato e complesso (di cui parla H.P. Lovecraft);
ii) La dinamica della ragione “petrologica” (da petrolio) e il cosiddetto “Lubrificante Tellurico”, che include gli aspetti geopolitici della “petropolitica” (sempre dal petrolio);
iii) Il malessere perdurante che caratterizza l’area non solo nell’economia e nella politica ma anche nella comunicazione, nella spiritualità e nella vita in generale.
La forma vivente Medio Oriente si agita e si contorce a fronte di questi enigmi durevoli assumendo di volta in volta sembianze oscure che sono poi l’altra faccia della riposta mediorientale a questi enigmi stessi. La Croce di Akht, sulla cui anatomia Parsani e Negarestani si spendono, altro non è che un simbolo di un demone inorganico presagio di pestilenza.
Dio, come accade oggi nell’Islam, c’è già in Medio Oriente. E non basta alla soluzione degli enigmi. Nascono e crescono perciò nei secoli corpi e figure alternativi a Dio, supposti essere più efficienti.
Di questi demoni e mostri Negarestani esibisce un repertorio vasto e fantasioso, una specie di horror show archeologico e documentale.
Siamo così immersi in uno spazio virtuale di blasfemia apocalittica. Si tratta, seguendo il Parsani di Negarestani, di modi mediorientali per rappresentare “creatività o perversione anticreazionistiche”. O, per dirla alla maniera nostra, di modi alternativi per esprimere il declino di un angolo di mondo. Ne viene fuori una teoria geocosmica del trauma permanente, che ricapitola in qualche modo una genealogia post-nietzscheana e riprende tematiche di geofilosofia care a Deleuze. È dai sussulti della Terra che si può sospettare il formarsi di un Asse del Male, rivisto in forma di concetto che si spalma sul pianeta in maniera non troppo diversa da quella di un’epidemia. Da qui potrebbero discendere chissà quali intrighi politici e sovversioni epistemologiche.
La politica diventa in questo modo oggetto di una peculiare speculazione neo-occultista. La scoperta degli appunti di Parsani permette di accostare un’ottica che congiunge acutezza etimologica e filologica con un’immaginazione malata, nutrita come è di troppo horror alla maniera di H.P. Lovecraft e dello spirito del cinema che a Roma si chiama “de paura”. In questo modo, un nucleo di ricordi e memorie viene contaminato da un pervasivo fattore traumatico di origine mediorientale ma destinato a spargersi in tutti i continenti. Il trauma in questione è a sua volta rappresentato fisicamente dalla massa semiliquida interna al globo terrestre, sorta di oceano metallico e fluido assieme. Diventa in questo modo allo stesso tempo un fenomeno geologico, la fonte di un potenziale complotto politico, un insieme di file capaci di custodire memoria. Elementi complessi di una criptografia creativa, che presuppone una straripante capacità di decodificazione. Il mondo di Negarestani è invaso da fiumi di scrittura nascosta e misteriosa, di cui solo streghe mediorientali possiedono le chiavi interpretative in un orizzonte ermeneutico che, nella nostra cultura, risale tra gli altri a Ermete Trismegisto e Giordano Bruno.
Nei suoi scritti tardi, nel periodo dell’esilio, Parsani parla in proposito di “morbidità segreta o sotterranea (undercover)”, insistendo sui complessi rapporti tra monoteismo, declino e petrolio. Rapporti questi ultimi spesso spiegati in termini geologici, narrazioni inorganiche del sottosuolo che si incrociano coi sussulti quasi organici di un Medio Oriente personificato. Da questo punto di vista, quello che più sorprende, nella narrazione di Negarestani, è che la geotraumatica fondamentale diventa l’altra faccia di una psicoanalisi del territorio in cui il petrolio sembra svolgere la funzione freudiana dell’Es. Un inconscio insieme trascendentale e immanente. E d’altra parte Freud, scavando nel profondo, opera in maniera non troppo diversa dai petrolieri. La nevrosi, che Nietzsche vedeva al centro della comprensione-azione dell’essere umano, diventa qui nevrosi planetaria.
La ricordata morbidità segreta o sotterranea dipende dal modo in cui Negarestani immagina che il petrolio organizzi in maniera fantasiosa le narrazioni del suolo e del sottosuolo, rifiutando sia vitalismo che necrofilia. Il petrolio è forza oscura, per Negarestani, se non altro perché imprigiona sottoterra quella che era la luce del Sole. In questo modo, il progredire morbido del declino finisce addirittura per favorire una sorta di consolidamento in forma di cosmogenesi che parte dal sottosuolo e si espande fino alla superficie. La morbidità sotterranea del declino spiega il suo ritmo dolce e quella sorta di disintegrazione in progress che il Medio Oriente esporta nell’universo mondo. Il declino mediorientale, così inteso, non può essere appropriato (neppure intellettualmente) o redento. Gli stessi approcci vagamente romantici che apparentano il declino a un ritorno alla natura altro non sono che l’altra faccia dello sfruttamento economico e del dominio politico. Perché in fin dei conti il declino è una forma sui generis di sopravvivenza cui corrisponde una Bildung parallela.
Attraverso il declino, si pospone il morire e si perpetua uno stato di sopravvivenza. Il declino mantiene in vita. Per questo è altra cosa dalle macchine di guerra e sterminio che popolano il nostro mondo. Macchine queste ultime che congiungono ai nostri tempi l’ecumene tecnocapitalistica con l’entusiasmo monoteistico islamico, entrambi connessi alle vicende sotterranee del petrolio (Naft in arabo o persiano). Anzi, il declino finisce con il combattere a modo suo ogni forma di violenza e dominio, visto nell’ottica della puissance alla maniera di Deleuze. Un catastrofismo ubiquito potrebbe finire così addirittura per proteggere gli umani. Come si può vedere nell’ambito dei processi di digitalizzazione onnipervasivi che caratterizzano questi anni, in cui il declino e l’assenza di puissance possono creare nicchie in cui si annidano intelletti resistenti.
La corruzione imperante in Medio Oriente diventa l’aspetto paradossalmente vincente di un mondo ferito e perforato (qui ancora il petrolio). Il declino rende improbabile il trionfo dell’utilizzabile, per rifarsi a Heidegger. È infatti una continua e lenta decomposizione a vincere, impedendo la formazione di potere, come si può vedere leggendo la progressione decimale di Gog-Magog. In questo, il Medio Oriente apparentemente perdente contamina tutto il mondo e lo fa suo in nome del declino. Una serie di fallimenti formativi e tattici causano esiti globali analoghi. Ma questi fallimenti, che pure garantiscono sopravvivenza, non possono rassicuraci del tutto perché danno luogo a percorsi non guidati e privi di leva di comando. Il potere, adoperato in un mondo di regressivo declino come il Medio Oriente si mostra anche come esperienza di necrofilia. Si tratta di un’esperienza progressiva di morte attraverso il disfacimento della materia e la deca- denza spirituale. Gli stessi corpi si modificano in questo modo, prendendo forma di vermi squamati e di piante anomale. Nei percorsi immaginari del declino non è chiaro se gli umani si distinguano dagli altri esseri viventi in un processo continuo di indeterminazione tassonomica.
Simile logica pervade i sistemi sociopolitici. Il dominio contamina e si spande per il mondo, facendo perdere equilibri consolidati tra orizzonti di vita e morte. Nuovi modi di sopravvivenza si affermano così nella morbidità differenziante del declino. Parallelamente al declino sociopolitico emerge un minimalismo dei corpi organici che tendono a perdere le differenze reciproche. La cosmogenesi del declino si rivela anche nella putrefazione simmetrica di vita e morte. Ne viene fuori un laboratorio basato sulla necrofilia in cui la morte è sempre più vicina ma non giunge mai, una sorta di contrazione infinita. E, per dirla con Parsani: “Se un sistema politico in decadimento ci elude in tutti i rispetti, astrattamente, concretamente ed esistenzialmente, ma non muore completamente, esattamente come può essere giudicato?”.
La logica del declino implica un’oscurità progressiva che diventa cecità.
Al tempo stesso, la topologia del declino crea proliferazione senza scopo, trasformandosi in una specie di delirio cancerogeno. Produzione di vermi attraverso vermi. La stessa disintegrazione dell’umano causata dal declino è putrefazione vermicolare. Ma questo non avviene solo nel Medio Oriente, oggetto precipuo di questo libro. Si espande piuttosto come un’epidemia su scala globale creando una continuità mucoide di disintegrazione (che si può decodificare interpretando la spirale a retroazione di Trison). La plastica, una forma di petrolio solidificata, ci ricoprirà tutti, rappresentazione visibile di una complessità neghentropica. La spiegazione di questa plasticizzazione del reale si rende poi possibile solo attraverso la forza della poromeccanica secondo cui il solido-duro esiste se e solo se c’è il morbido. In questa visione allucinatoria, l’ontologia in fondo altro non è che un rivestimento esteriore della chimica interna.
La petropestilenza, vero alter ego di diavolo precristiano mediorientale, già occupa tutti gli spazi del nostro mondo e spiega persino l’origine delle nostre idee e del nostro sistema economico. Il Solar Anus di George Bataille e la biogenetica altro non sono poi che manifestazioni di cannibalismo in cui la Madre Terra divora sé stessa ed è divorata dal cosmo. Visione questa che, come molte in questo libro, trae ispirazione dallo zoroastrismo, l’antica religione mediorientale, nel cui ambito la produzione continua di declino è letta come un fiume o un miasma, che in termini chimici può diventare spirito di plastica o gas. Alchimia ed epidemiologia, ma anche narrazione di un continuo movimento di autofagia di un pianeta che tende a consumare sé stesso e chi lo abita. Con l’esito finale che resistere al declino è futile ma anche fertile.
In conclusione
In conclusione, Cyclonopedia offre una sorta di iperpsicoanalisi, in cui l’approccio freudiano è esteso all’universo nell’ambito di una teoria cosmica del geotrauma. Si propone una schizoanalisi del geotrauma a partire dal Medio Oriente. Le origini della malaise humaine sono nella psiche della terra. La teoria di Bataille sulla “economia solare” sposa una visione freudiana della vita organica, il tutto in un orizzonte che parte dall’idea di Deleuze e Guattari in Millepiani secondo cui c’è connessione tra movimenti di pensiero e movimenti del suolo. In questa ottica di chimicafilosofia, non c’è troppa differenza tra geotellurica e cultura umana. Questa insolita fusionalità comincia dal linguaggio, cui Negarestani offre nuove potenzialità di decodificazione che sfuggono alla tradizione ermeneutica.
Certo, viviamo in un clima per cui non è difficile avere successo parlando del declino di un mondo prossimo ad andare in rovina. Ma, alla fine dei conti, quello espresso in Cyclonopedia è un punto di vista che non lascia spazio né all’ottimismo tecnologico né al pessimismo apocalittico.
Piuttosto Negarestani presenta una teologia eretica e magica – la dedica del libro è “per la strega” – che funge da retroterra per una rinnovata metafisica basata sul realismo speculativo.
Sullo sfondo, emerge il petrolio con le sue zone poromeccaniche che influenzano politica e cultura. Ne risulta una sorta di narratologia degli elementi primari, per cui – contrariamente a quanto suggerisce Marx – non è il capitale che crea il mondo del petrolio ma viceversa. La geofilosofia di Deleuze s’incontra qui con l’estetica geopolitica di Jameson. Alla fine della fiera, la nuova metafisica di Negarestani si presenta come un’escatologia alternativa, o se preferite di una spiritualità sui generis. È come se al culmine della programmazione via Intelligenza Artificiale non resti altra via che ripensare il tutto in termini di religiosità eretica (non rispetto all’Islam, ma in generale, nella misura in cui è concepibile un’eresia in assoluto).
Una delle ragioni dell’impatto di Cyclonopedia sta proprio qui. Si può supporre che la cosmologia psicoanalitica, che vi è implicita, possa consistere in una terapia di massa per la paranoia diffusa in un universo di Intelligenza Artificiale pervasiva accompagnata da un’apparente dissoluzione degli oggetti, paranoia che induce a credere che siamo tutti sempre connessi tra noi e sconnessi dal mondo. Ma d’altra parte si può leggere Cyclonopedia anche come un inno che celebra la lotta al riscaldamento globale causato dallo sfruttamento del petrolio. E anche questo è tema di decisa attualità.
Da Cyclonopedia di Reza Negarestani. In alto, foto di Daniel Olah – Unsplash