Il mercato rende liberi ha avuto tante recensioni, quasi più delle copie vendute. La cosa più “strana” è stato vedere – come avviene per la mafia – che sono gli stessi economisti mainstream a sostenere nei loro commenti che il mainstream non esiste. Una forma di negazionismo che contrasta con quanto, poco tempo fa, autorevoli esponenti, soprattutto italo-americani, sostenevano ripetendo ad ogni occasione che: “il mainstream è diventato dominante per via della sua superiorità sia dal punto di vista logico che per la superiorità empirica”, ma basterebbe leggere l’introduzione del manuale di Blanchard per una chiara definizione del mainstream. Riconoscere che le obiezioni sollevate dai fondatori stessi della teoria dell’equilibrio economico generale rilevano contraddizioni del modello neoliberista con la logica e con la matematica è evidentemente irricevibile. Ma il paradigma economico dominante è in riconosciuto declino (Noam Chomsky, Neoliberalism Is Destroying Our Democracy; Adam Tooze, Has Covid ended the neoliberalism, The Guardian 7.9.21) e non serve aggiungere altri epicicli.

Anziché prendere sul serio le obiezioni di Arrow, Hahn, Debreu, Greenwald, Sraffa, Stiglitz etc, della logica e della matematica, le principali obiezioni al mio pamphlet sono state principalmente di due tipi:

  1.  Le critiche son cose vecchie – un “argomento” senza dubbio forte, che discrediterebbe e.g. il teorema di Pitagora per anzianità;
  2. I modelli DSGE nuovo keynesiani – ossia i mainstream – sono pieni di non linearità e quindi non c’è nulla di nuovo nella modellistica ad agenti.

C’è un equivoco di fondo che è ben chiarito nella “domanda di Arrow”. Waldrop ricorda che al primo convegno del Santa Fe Institute, Arrow interruppe il relatore, Kaufmann, che stava enfatizzando l’assenza di non linearità in economia sostenendo che in realtà l’economia è piena di funzioni non lineari. La replica del relatore fu chiara: la non-linearità di cui la complessità parla è quella che produce emergenza è dovuta ai meccanismi cumulativi di feedback negativi e positivi. È questa la non-linearità che il mainstream ignora. La non linearità di cui si parla non è relativa alla forma delle funzioni, ma quella che genera emergenza la quale è possibile solo in un sistema aperto: la vera differenza tra la modellistica e i complex adaptive system è questa essendo i primi un sistema chiuso. Ma non esiste la possibilità di equiparare l’economia ad un sistema chiuso – a meno di ipotizzare che l’informazione sia perfetta e non ci sono innovazioni. Questo si deve al fatto che l’economia marginalista prende a riferimento la fisica classica di Newton che ovviamente ignora la termodinamica.

Non si può andare contro la matematica e la logica. Tanto è vero che gli economisti matematici sono quelli che per primi hanno abbandonato il modello di equilibrio generale.

Al di fuori di un sistema chiuso non si può utilizzare l’equilibrio dove il tempo non esiste. È utile ricordare il monito di Debreu nella sua lectio Nobel: “La seduzione della forma matematica può diventare quasi irresistibile. Nel perseguimento di tale forma, può darsi che il ricercatore sia tentato di dimenticare il contenuto economico e di evitare quei problemi economici che non siano matematizzabili” (la rimozione di problemi non risolvibili con “carta e penna”). La formalizzazione sempre più astratta di tali modelli, spesso dovuta alla necessità di semplificare per renderli “analiticamente trattabili”, fino a commettere quelli che Akerlof (2020) definisce “peccati di omissione”, insieme alla loro difficoltà nello spiegare alcuni fenomeni economici e sociali osservati, ha portato ad interrogarsi sull’utilità di strumenti che talvolta sembrano impiegati come fossero fine a sé stessi.

Si ricordi inoltre che nei modelli chiusi, il tempo diventa è un elemento puramente contabile mentre in un modello aperto il tempo equivale al di venire dell’economia cioè irreversibile dove la storia conta. La crisi del modello dominante è ormai irreversibile, ma come i soldati giapponesi che restavano di arrendersi nonostante la resa del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale così i vedovi del mainstream continuano ed affidarsi al sistema dei prezzi che non può valere per quanto minime siano le imperfezioni informative.

L’economia nasce come politica economica con l’obiettivo di gestire il cambiamento della società dovuto all’avvento della rivoluzione industriale. Questo accade prima che, per mezzo della sua matematizzazione, l’economia abbia l’ambizione di assomigliare alla fisica per divenire una scienza. Uno degli scopi dell’economia politica classica è quello di essere utile alla società per agevolare il processo di crescita ed ovviare alle patologie che esso comporta. Se questo scopo ha ancora un senso, l’economia si deve dotare di strumenti che consentano di cercare le chiavi dove sono state perdute e non sotto un lampione solo perché lì c’è luce. Come s’è compreso nelle le scienze dure – quali la fisica e chimica – la teoria della complessità pone fine al tempo delle certezze, alla corrispondenza precisa tra causa ed effetto.

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La teoria economica dominante si basa ancora sull’equilibrio e la separabilità dei sistemi, categorie appropriate solo per alcuni sistemi della fisica classica – che un economista definirebbe macroscopici. Per studiare il comportamento microscopico la fisica statistica ha introdotto l’interpretazione probabilistica. Si verifica allora una contrapposizione tra un’interpretazione deterministica, che considera l’equilibrio di ogni singolo agente e quindi del sistema, ed un un’interpretazione stocastica in cui il comportamento individuale è casuale ma porta ad un equilibrio di tipo statistico, in cui i singoli elementi possono essere in disequilibrio mentre il sistema giunge ad uno “stato di compatibilità”, più o meno duraturo interpretato da una distribuzione di probabilità. E ci si è resi conto che nel passaggio da un livello gerarchico all’altro (dalla micro alla macro e.g.) emergono fatti nuovi, non presenti ad una gerarchia più bassa (l’inflazione, le curve di Okun e Phillips, tra le tante) per cui le “leggi” valgono solo al loro specifico livello di disaggregazione.

Se, come mostrato da Anderson (1972) nel celebre More is different, l’aggregato non è la somma delle sue componenti, ma, piuttosto, le proprietà del tutto derivano dall’interazione fra le sue parti, allora intervengono incertezza e non-linearità. Ciò implica l’abbandono del sogno di poter formulare una “legge naturale”, della proporzionalità tra causa ed effetto e di dinamica di un sistema ricostruibile come somma degli effetti di singole cause che agiscono sulle singole componenti: insomma un requiem per l’individualismo metodologico.

Per collegare la micro-economia con la macro-economia, l’economia mainstream ha introdotto il framework dell’“agente rappresentativo”, un agente medio che agisce senza curarsi del comportamento altrui, tanto utile analiticamente quanto fallace e foriero di errori perché trascura l’interazione.

In tal modo si è cercato di ridurre il macro-aggregato alla micro-parte per costruzione, il che dà l’idea di una possibile, ma falsa, micro-fondazione – per tacere della rinuncia all’analisi della distribuzione del reddito, della ricchezza e della dimensione degli agenti o, più in generale, degli effetti di composizione. Per quanto priva di ogni ontologia, l’analogia è così comoda ed efficace da essere utilizzata ancora oggi, a distanza di più di un secolo dalla sua introduzione. Il metodo del massimo-minimo (utilità e costo) deriva dall’analogia con i sistemi classici della fisica, che sono deterministici e separabili, ed i principi che si devono introdurre sono assiomi necessari – ed in quanto tali ad hoc – per ridurre il comportamento degli agenti economici a quello degli atomi. Ciò è avvenuto attorno al 1880 con la rivoluzione marginalista di Jevons, Menger e Walras che ambiva a trasformare la disciplina dell’economia in una scienza sociale quantitativa.

L’uso della matematica ha finito con l’attribuire all’economia un’autorità che è diventata una presunta obiettività ed ha nascosto l’identificazione delle riflessioni ideologiche che precedono la fase analitica nelle scienze sociali. Questa impostazione dell’economia è un fattore decisivo per l’affermazione definitiva del pensiero economico nei termini del linguaggio formale della matematica quando, per la prima volta, il metodo assiomatico-deduttivo viene applicato al di fuori dei contesti tradizionali in cui s’è sviluppato (e.g. logica, aritmetica, geometria) e di cui le scienze naturali hanno potuto avvantaggiarsi con i ben noti successi. La fisica impiega i risultati che la matematica ha assiomaticamente dedotto in modo formale e rigoroso per formulare teorie esplicative delle leggi della Natura e le adotta solo dopo averle empiricamente validate.

Una procedura simile è meno comune in economia, sia per l’assenza di dati sperimentali sia per la non replicabilità di molti eventi. Così Hahn poteva sostenere di non conoscere il caso di una teoria economica rigettata perché incapace di spiegare i fatti e il successo, più che decennale, della teoria dei cicli economici reali, nonostante le evidenze empiriche fossero in palese contrasto con le ipotesi della teoria stessa. Eccezion fatta per gli economisti mainstream, è indubbio che il comportamento degli esseri umani risulta più difficile da descrivere attraverso modelli matematici di quanto lo sia quello degli atomi. Infatti, non è sufficiente adottare le forme ed i metodi della fisica per modellare l’economia sulla base di una qualche analogia perché gli agenti non sono atomi e l’economia è una disciplina sociale che non può disconoscere la rilevanza della storia.

In ultima analisi esiste un problema di informazione: solo in un sistema chiuso, di baratto – con mercati completi e dunque informazione perfetta – i prezzi possono agire da co-ordinatori. Quando però i prezzi non segnalano solo l’eccesso di domanda o di offerta il mercato non è più efficiente (il teorema dell’impossibilità di mercati efficienti di Grossman e Stiglitz, 1980). Il modello di equilibrio economico generale nella formulazione di Arrow-Debreu, per quanto formalisticamente inattaccabile, non è robusto rispetto a minime limitazioni informative. Tanto i suoi teoremi “ottimali” quanto i suggerimenti di politica economica sono solo esercizi matematici logicamente consistenti di un sistema incorretto e, irrimediabilmente, incompleto (si vedano i teoremi di Gödel). Il modello di Arrow e Debreu è inattaccabile dal punto di vista matematico purché disaccoppiato dal fenomeno da descrivere: l’economia (come sostiene lo stesso Debreu e come dimostra il percorso intellettuale di Arrow passato dai sistemi chiusi ai Complex Adaptive System). L’equilibrio generale come fatto economico viene trasformato in un fatto matematico in ragione di un insieme di assiomi necessari per trovare la soluzione con un procedimento logicamente consistente: in primo piano c’è la matematica, mentre l’economia è solo un pretesto.

Questo modello è non corretto se lo si considera come un modello economico in quanto non riesce a descrivere alcun sistema economico reale, benché questa fosse l’originaria intenzione dei teorici dell’equilibrio economico generale.

In termini formali, il modello di Arrow e Debreu è un’opera mirabile che mostra quali e quante restrizioni siano necessarie per trovare una soluzione al problema di dimostrare l’esistenza dell’equilibrio. Più che un modello descrittivo dell’economia è un argomento che mostra i limiti del parlare di economia attraverso la sua matematizzazione astratta, l’equilibrio è un caso particolare del non-equilibrio e la linearità della non-linearità, vedremo che il mainstream è un sotto-insieme dell’economia della complessità. Poiché il sistema economico è complesso, lo si può studiare solo attraverso una metodologia appropriata a replicare (in silico) alcuni eventi irripetibili nei fatti, ma simulabili costruendo sistemi ad agenti e studiando le loro reti di connessione.

Mauro Gallegati

Mauro Gallegati

Mauro Gallegati insegna macroeconomia avanzata all’Università Politecnica delle Marche. I suoi articoli sono pubblicati sul Financial Times, su Il Sole 24 Ore e Sbilanciamoci. Insieme a Joseph Stiglitz ha sviluppato la teoria  dell’informazione asimmetrica con agenti eterogenei interagenti. Tra gli altri lavori, è autore di Oltre la siepe (Chiarelettere, 2014) e Acrescita (Einaudi, 2016).