Proponiamo un estratto da Fuori Casa di Sebastian Abbot. Il libro segue le vicende dei giovani calciatori africani scelti dal Qatar tra milioni di ragazzi, che avrebbero avuto la grande chance di uscire dalla povertà e fare il loro ingresso nell’Olimpo del calcio tra i top club europei. La realtà si è rivelata ben più dura per i calciatori di Football Dreams che,dopo aver accarezzato il sogno di una grande carriera, lo hanno visto pian piano sgretolarsi davanti ai loro occhi, tra avidi procuratori, ansia di emergere, e passaporti falsi.

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Josep Colomer conosce il calcio. Ha fondato il suo primo centro d’allenamento quando era solo un adolescente, in Spagna, ha aiutato lo staff tecnico del Brasile a vincere i Mondiali del 2002 ed è diventato il responsabile del settore giovanile di quel rullo compressore che è il Barcellona. Ha anche contribuito a lanciare la carriera di uno dei più grandi giocatori di sempre, Lionel Messi.

Colomer conosce molto meno i militanti nigeriani. Per esempio, detestano essere chiamati militanti. Preferiscono di gran lunga l’espressione “combattenti per la libertà”. Non sorprenderà sapere che Colomer non si era mai imbattuto in un militante nigeriano negli anni in cui aveva lavorato come scout e allenatore ai vertici del calcio internazionale. Ma ora si trovava su una banchina erosa dalle intemperie sul turbolento Delta del Niger, in Nigeria. Nelle vicinanze, su un tappeto di verdi giacinti d’acqua, galleggiava un piccolo motoscafo Yamaha grigio. Uno dei passeggeri era Clemente Konboye, un militante nigeriano con la pancia gonfia, senza un dente davanti e dall’aria minacciosa. Teneva lo sguardo fisso su Colomer.

Non era l’unico a guardare. Tutt’intorno la traballante rampa per le barche di Warri, una delle principali città dello Stato del Delta, gli abitanti del posto che lavoravano fuori dalle baracche di metallo arrugginito e sulle motonavi ammaccate si erano fermati per esaminare quell’uomo tozzo e calvo, simile a un bulldog, sulla quarantina. Come al solito, Colomer aveva l’aspetto di chi è diretto in palestra. Sembrava sempre in t-shirt, pantaloncini da calcio e scarpe da corsa. A Warri era lo stesso. Non aveva tentato in alcun modo di integrarsi.

L’estate del 2007 non era certo il momento più sicuro per uno straniero su un molo nel Delta del Niger. La lotta dei militanti per ottenere una fetta più grande dell’immensa ricchezza petrolifera di quella regione impoverita era all’apice. Armati di AK-47 e lanciarazzi, scorrazzavano su piccole moto-navi attaccando le forze governative e rapendo gli stranieri che lavoravano nel petrolio. Sfuggivano alla cattura scappando nel labirinto di vie d’acqua e foreste di mangrovia che dominano l’area. Molti di loro, tra cui Konboye, erano seguaci di un leader pittoresco noto con il nome di Tompolo, che ave- va contribuito a fondare il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger.

La sua gang aveva lanciato la moda dei sequestri di stranieri a scopo di estorsione nel 2006, quando aveva rapito nove operai petroliferi su un barcone posizionato nei pressi della cittadina di pescatori di Ogulagha, dove viveva la madre di Tompolo. Il caso voleva che in quel nuvoloso pomeriggio di agosto del 2007 anche Colomer fosse diretto a Ogulagha. Konboye era sul molo perché lui e gli altri militanti avevano ricevuto una soffiata. Era lì per proteggerlo.

Colomer non era interessato al petrolio del Delta del Niger. Non era arrivato in Africa in cerca di oro o diamanti, il bottino che da secoli attirava gli stranieri sulle coste e all’interno del continente. Non nutriva alcun interesse per quello che si trovava sotto il suolo africano. Sperava di trovare il suo tesoro in superficie. Forse era accanto a un’autostrada a Lagos, la brulicante megalopoli nigeriana, o in un’isola semideserta nel Delta del Niger. In effetti poteva essere ovunque. E questa era solo una delle tante difficoltà che Colomer doveva affrontare.

Anche capire esattamente cosa cercare era una sfida. Un processo più artistico che scientifico. La scienza sa dirti se hai trovato oro o diamanti, ma nel campo in cui lavora Colomer le risposte sono molto meno definitive.

Da tempo gli esperti si affidano all’intuito accumulato in anni di esperienza più che ai dati nudi e crudi, anche se lentamente le cose stanno cambiando. In entrambi i casi, possono volerci anni per capire se hai davvero trovato quel- lo che stavi cercando. Ma se ci riesci, gli elogi piovono da ogni angolo del mondo. Dimenticate il petrolio e i diamanti: Colomer era in Africa per cercare qualcosa di molto più raro. Stava cercando il nuovo Messi.

Il viaggio a Ogulagha era uno delle centinaia che Colomer e la sua squadra di scout hanno compiuto nel continente africano nel 2007 per lanciare quella che è stata forse la più grande caccia di talenti nella storia dello sport. Soltanto in quell’anno, il team di Colomer ha sottoposto a provini più di 400.000 ragazzi in sette Paesi africani per scovare le stelle del futuro, e quello è stato soltanto l’inizio. Nei mesi successivi la ricerca, denominata “Football Dreams”, è stata estesa a più di trentacinque Paesi dell’Africa, del Sudamerica e del Sudest asiatico, e sono stati organizzati provini per più di cinque milioni di ragazzini. Ogni anno gli scout hanno selezionato una manciata dei giocatori migliori e li hanno mandati ad allenarsi per diventare professionisti in un’apposita accademia. Definire questi ragazzi un’élite non renderebbe l’idea. La selezione era mille volte più dura di quella per entrare a Harvard.

Gli scout si sono concentrati sui ragazzi di tredici anni in modo che gli allenatori dell’accademia avessero tempo a sufficienza per trasformarli in potenziali campioni del mondo quando si fossero diplomati, dopo aver compiuto la maggiore età. Per contestualizzare queste cifre, il numero medio di ragazzi selezionati ogni anno, grossomodo 500.000, era più alto della popolazione totale di tredicenni in quasi tutti gli altri Paesi che componevano la top 20 della FIFA. Immaginate cosa si potrebbe trovare selezionando ogni ragazzo di tredici anni in Argentina, Germania o Francia, tutti gli anni. Richiamate alla mente le immagini dei giovani Pelé, Beckenbauer, Zidane o Messi. Sono di questo calibro i talenti che Colomer sperava di scovare quando è partito nel 2007. Ma non si è messo a cercarli in Europa o in Sudamerica, almeno non all’inizio. Anche quando ha allargato la sua ricerca ad alcuni Paesi latinoamericani e asiatici il suo obiettivo principale continuava a essere l’Africa.

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[…] Non era stato Colomer a scoprire Messi in Argentina e a portarlo poi a Barcellona. La futura star, un timido e magro tredicenne, era arrivata nel club nel settembre del 2000, più di due anni prima che Colomer diventasse responsabile del settore giovanile del Barcellona. Ma la vertiginosa ascesa di Messi era avvenuta anche grazie alla guida di Colomer e alla sua fiducia che aveva riversato nel giovane calciatore. Poco dopo il suo arrivo, Colomer aveva promosso Messi di quattro livelli in un colpo solo per inserirlo nella rosa di riserve del Barcellona, una cosa che non era mai successa prima nel club. Pochi mesi più tardi, nel novembre del 2003, Colomer aveva avuto il piacere di annunciare a quel capellone ormai sedicenne che avrebbe esordito in prima squadra. “Mi disse che dovevo solo andare e godermi la partita e l’esperienza” ha dichiarato Messi al canale tv della squadra nel decimo anniversario del suo debutto.

Fu un’esperienza che nessuno dei due avrebbe mai dimenticato, tanto che lo scout e il giocatore sono rimasti amici anche quando Colomer ha lasciato il Barcellona. Messi non ha dimenticato il sostegno ricevuto in un momento tanto importante per la sua carriera, e Colomer l’esperienza di coltivare uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Forse avrebbe potuto ripeterla grazie a Football Dreams, ma prima ha dovuto decidere se salire su una barca con un militante nigeriano.
Bekewei, Colomer e le sue guardie si sono riuniti sul molo per discutere la situazione. Bekewei ha dato la sua parola che nessuno avrebbe fatto del male a Colomer, ma era più preoccupato di quanto mostrasse. Sapeva di non avere il controllo completo su quanto sarebbe successo durante il viaggio di un’ora da Warri attraverso le insenature fino a Ogulagha.

I militanti della sua città natale avevano dato la loro parola, ma sarebbe valsa anche per gli altri gruppi che avrebbero incontrato? Perlopiù sul fiume non c’era segnale per i cellulari, quindi se fosse successo qualcosa sarebbero stati da soli. Era un rischio che Bekewei era disposto ad assumersi. Era a sua volta un procuratore in erba e sapeva che la visita di Colomer avrebbe dato visibilità ai giocatori locali e favorito la sua reputazione nella comunità.

Secondo i poliziotti la situazione era troppo pericolosa, quindi Colomer ha fatto una telefonata frenetica ad Ahmedu per capire se doveva o meno salire sulla barca. Il colonnello lo ha rassicurato: sarebbe stato la persona più al sicuro dell’isola perché gli abitanti del posto volevano che tenesse il provino. In effetti, Ahmedu ha confessato a Colomer che sarebbe stato più al sicuro con i militanti che con la polizia. “Ho detto: ‘Mister, hai due poliziotti armati con sì e no quaranta munizioni. Non possono tenere testa ai militanti, quindi stare lì è già di per sé un rischio. Dato che stanno collaborando e dicono che ti proteggeranno, non preoccuparti’” ha raccontato Ahmedu.

Il colonnello non ha detto a Colomer né a nessun altro che aveva già pronto un piano B. Solitamente lavorava con i servizi di sicurezza del governo e mandava agenti segreti a valutare una determinata area prima dell’arrivo degli scout. A volte si vestivano da calciatori e si dirigevano verso il campo che gli scout avrebbero visitato per cogliere eventuali sentori che qualcuno potesse far loro del male. A Ogulagha non era stato possibile perché il rischio che fossero scoperti era molto concreto. Così Ahmedu aveva parlato con i suoi contatti tra i militari, che avevano organizzato una squadra speciale pronta a intervenire se fosse successo qualcosa.

Se Colomer si fosse trovato in pericolo, i soldati sarebbero saltati su un motoscafo armati di un enorme mitra per inseguirlo. Colomer aveva anche pensato di procurarsi un paio di telefoni satellitari in modo da poter comunicare mentre era in acqua, ma Bekewei gli ha consigliato di non farlo. “Quei ragazzi non sono stupidi, se ti vedono con attrezzature sofisticate penseranno che tu sia una spia” gli ha detto. Bisogna dire che nella situazione di Colomer la maggior parte delle persone avrebbe ringraziato per l’opportunità, sarebbe risalita sul SUV e se ne sarebbe andata.

Ma l’ossessione di Colomer per la scoperta di nuovi talenti risaliva a quand’era adolescente e viveva nella cittadina medievale di Vic, a nord di Barcellona, dove trascorreva i fine settimana a caccia di giovani predestinati per la sua neonata scuola calcio mentre i suoi amici se la spassavano correndo dietro alle ragazze.

Se c’era qualcuno che poteva salire su una barca con un militante nigeriano, motivato dalla possibilità che la prossima stella del calcio mondiale vivesse in un villaggio di pescatori nel Delta del Niger, era proprio lui. E così ha fatto. Pur spaventato, ha seguito Bekewei e Konboye sul molo ed è salito sul motoscafo che lo stava aspettando. E mentre il pilota del mezzo ripartiva, attento a non impigliare l’elica nei giacinti d’acqua galleggianti, Colomer ha puntato lo sguardo verso il fiume Forcados che lo avrebbe portato a Ogulagha, domandandosi cosa e chi avrebbe trovato al suo arrivo.

Il motoscafo ha acquistato rapidamente velocità allontanandosi dal molo e presto si è ritrovato a navigare a un’andatura tale che l’acqua torbida sfrecciava come una strada di solida terra battuta. Colomer si è seduto su un cuscinetto bianco accanto al motore fuoribordo, poggiando il braccio destro sul fianco dell’imbarcazione. Aveva un’espressione tesa. Un muro verde di mangrovie e palme, apparentemente impenetrabile, dominava entrambe le sponde del fiume, alcuni tratti largo soltanto una trentina di metri. Di tanto in tanto strette insenature si diramavano da un lato o dall’altro, ma se si fossero trovati nei guai non c’era una via di fuga. Il rombo del motore era talmente forte che anche le comunicazioni più elementari erano difficili.

Il fiume si è allargato fino a diverse centinaia di metri a mano a mano che si avvicinavano a Ogulagha, passando davanti all’enorme terminale petrolifero di Forcados sulla sinistra. In lontananza erano visibili numerose cisterne di petrolio bianche e circolari, alte come palazzi. Costituivano una piccola parte di un enorme complesso gestito dalla Shell, capace di esportare circa 400.000 barili di greggio al giorno. Era un obiettivo popolare tra i militanti, che nel 2006 avevano attaccato la piattaforma di carico del terminale lo stesso giorno in cui avevano rapito nove operai stranieri da un barcone nei pressi di Ogulagha, con dei raid in stile militare condotti appena prima dell’alba.

Subito dopo aver costeggiato il terminale l’imbarcazione ha attraccato a Ogulagha, un intrico di baracche in legno e metallo perlopiù cadenti, appollaiate sulla riva sabbiosa del fiume. La povertà della città era in netto contrasto con la ricchezza rappresentata dal terminale della Shell proprio lì accanto. Mentre il motoscafo si avvicinava alla riva un gruppo di adolescenti si è incamminato nella sua direzione nell’acqua poco profonda. Uno di loro indossava una maglia di calcio a strisce bianche e rosse.

“Buon pomeriggio” ha detto con calma Colomer, senza rivelare eventuali apprensioni. “Siete dei calciatori? Siete pronti a giocare?”
“Sì” hanno risposto loro. “Siamo pronti.”

Ma non stavano camminando verso la barca perché erano interessati al calcio. Volevano qualcos’altro da Colomer: una mancia. Di solito i ragazzi si offrivano di portare i passeggeri a riva sulle spalle per evitare che si bagnassero le scarpe. In cambio speravano di ottenere qualche naira nigeriana. Ma Colomer non temeva di bagnarsi i piedi. “È saltato in acqua con le scarpe da tennis” ha raccontato Bekewei. “Per dimostrare quanto fosse pronto a fare quello per cui si trovava lì.”

Bekewei e Konboye hanno accompagnato Colomer dalla sponda del fiume al centro della città, seguendo sentieri sterrati che serpeggiavano attraverso Ogulagha. Li seguivano una ventina di ragazzini, incuriositi dall’uomo bianco che aveva fatto una comparsata tanto inattesa. Gli edifici che costeggiavano erano per la maggior parte baracche di alluminio arrugginite che nei mesi più caldi raggiungevano temperature roventi. Attraversavano ponti di legno improvvisati su piccoli corsi d’acqua ostruiti dai rifiuti. L’aria era densa dell’odore pungente di pesce fritto, uno dei piatti principali di Ogulagha.

Erano in ritardo, quindi i ragazzi che Colomer era venuto a visionare aspettavano da ore di partecipare al provino nel campo sportivo al centro della città. Non erano gli unici a essersi presentati. Giunto a destinazione, Colomer ha visto spettatori di tutte le età ammucchiati intorno al campo, una distesa verde circondata da baracche di metallo con il bucato steso ad asciugare. Gli organizzatori avevano perfino allestito una tenda in modo che gli anziani potessero sedersi all’ombra.

Di norma quell’anno i provini tenuti da Colomer in Africa comprendevano 176 giocatori ciascuno, un numero sufficiente per comporre sedici squadre da undici calciatori, che avrebbero giocato un totale di otto partite da venticinque minuti. Da questo gruppo Colomer e gli altri scout selezionavano i migliori cinquanta elementi di ciascun Paese e li invitavano nella capitale per un provino di quattro giorni. I tre migliori giocatori di ciascun Paese e numerosi portieri da tutta l’Africa sarebbero stati invitati poi a un provino finale fuori dai confini del continente, della durata di diverse settimane. Chi avrebbe superato anche quell’ultimo test sarebbe stato invitato a entrare nell’accademia e ad allenarsi per diventare un calciatore professionista.

L’organizzazione di questi provini ha richiesto il coinvolgimento di quasi seimila volontari locali in Africa, all’incirca lo stesso numero di persone necessario a far funzionare una portaerei.

Molti di loro erano allenatori che gestivano le migliaia di piccole scuole calcio alla buona sparse per i quartieri di tutta l’Africa. Per aggiudicarsi il loro sostegno, Colomer e il suo team hanno distribuito gratuitamente attrezzatura Nike del valore di migliaia di dollari in ciascuno dei campi in cui si sono tenuti i provini. Inoltre ai volontari sarebbero stati regalati dei viaggi all’estero nel caso in cui uno dei loro ragazzi fosse stato selezionato per la prova finale, un grande benefit dato che molti di loro non erano mai usciti dal proprio Paese prima di allora.

Football Dreams era un’iniziativa che non assomigliava a nulla di già visto nel mondo del calcio, e non solo per le sue dimensioni. Da tempo il calcio viene definito lo sport globale, ma questo programma ha portato la globalizzazione a un nuovo estremo, tanto da sfiorare l’assurdo. Perché quella di Football Dreams non è soltanto la storia di un gruppo di scout europei che si mette sulle tracce delle future star africane, ma anche quella di ricchi sceicchi arabi abituati a giocare a calcio nei giardini dei loro palazzi, o di ragazzi prodigio del Sudamerica che crescendo sono diventati leggende o di tifosi nelle città di provincia europee timorosi che le loro piccole squadre vengano rilevate. La miscela di questi mondi disparati ha reso Football Dreams uno degli esperimenti più radicali della storia dello sport. Toccava a Colomer scovare un piccolo numero di ragazzi africani sufficientemente bravi da far funzionare l’esperimento. Se fosse riuscito nel suo intento, sarebbe entrato nella storia del calcio. Così come i ragazzi che avrebbe scoperto.

Da Fuori Casa di Sebastian Abbot. In alto, foto di Omar Ram – Unsplash

Sebastian Abbot

Sebastian Abbot

Sebastian Abbot è un giornalista e scrittore statunitense.È stato per oltre dieci anni corrispondente dell’Associated Press al Cairo e Islamabad.