Pubblichiamo un estratto tratto da L’America per noi di Mario De Pizzo, che racconta la storia della relazione tra l’Italia e l’alleato statunitense, a volte presenza ingombrante per il nostro Paese, altre strategica per preziosi successi. De Pizzo ripercorre qui la crisi di Sigonella (che prende il nome dalla base militare della Marina Statunitense situata nel comune di Lentini e vicino alla città di Catania), noto un caso diplomatico tra Italia e Stati Uniti avvenuto tra il 7 e il 12 ottobre 1985.

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“De Gasperi ci abituò a guardare lontano: ci ancorò all’Occidente in una solida visione euroamericana, senza però perdere mai il senso globale della pace. E La Pira, con le sue anticipazioni verso il mondo arabo e la Cina, dette veramente un impulso cristiano alla visione della politica mondiale”. Questo lo sguardo di Giulio Andreotti sulla narrazione della storia della politica estera italiana; nel corso degli anni Ottanta tornerà spesso, e a suo modo, sull’argomento.

“La nostra leale appartenenza alla Nato e alla Cee non è in discussione. Ma chi parla sempre e a tutto spiano di fedeltà, mi fa venire in mente quei coniugi che sentono ogni giorno il bisogno di dichiararsi reciprocamente fedeli, perché non lo sono”; e ancora: “L’impero non esiste, esiste un’alleanza nella quale stiamo con pari dignità. Non è vero che gli americani arrivano con la pappa pronta e gli altri si limitano ad usare il cucchiaio”.

Dal 1983 al 1989 il “Divo Giulio” è ministro degli Esteri, al fianco, per i primi quattro anni, di Bettino Craxi, primo socialista ad aver ricoperto la carica di presidente del Consiglio nella storia della Repubblica italiana.

In quel periodo, dirà poi Giorgio Napolitano: “L’Italia passa da una posizione di adesione acritica, poco incisiva, poco caratterizzata, ad una partnership più assertiva nel rapporto con gli Stati Uniti”. Craxi e Andreotti sono gli assoluti protagonisti di questo processo.

Secondo l’allora titolare della Farnesina, l’Occidente e l’Europa fungevano per lui da “scudo della storia” con cui si proteggeva mentre percorreva “a zig zag naturalmente” i sentieri di una “mediazione discreta, ostinata, spregiudicata”. Quella stagione politica ha il suo momento clou nel 1985, con la vicenda più immaginifica della storia delle relazioni tra Italia e Stati Uniti: il caso Sigonella.

“Non c’erano dubbi non sulla lealtà – che potrebbe essere un termine tenue – ma sulla convinzione occidentale di Craxi e sulla sua avversione al comunismo realizzato. Ne aveva già dato prova due volte sull’installazione degli euromissili: prima da segretario del Psi e successivamente da capo del governo”, racconta Giuliano Amato, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. “Poi, certo, aveva una tensione positiva per i movimenti, come l’organizzazione per la liberazione palestinese. Ma Craxi era uno dei leader più ascoltati da Reagan nel contrasto con l’Urss”.

Come sottolinea l’allora ambasciatore italiano a Washington, Rinaldo Petrignani: “Non so quanti ricordano che dopo Sigonella la Casa Bianca attivò la ‘linea rossa’ anche con Palazzo Chigi. Esclusiva riservata fino ad allora solo all’Eliseo e Downing Street. E soprattutto che il G7, per volontà di Reagan, aprì il G5 finanziario all’Italia, ammettendola definitivamente nel club dei grandi”.

Ma allora cos’è accaduto, in quella notte di ottobre, a Sigonella? Si è sfiorato uno scontro tra i nostri militari e quelli americani; si è aperto un conflitto diplomatico tra Roma e Washington, che in Italia ha generato una crisi di governo innescata dal Partito repubblicano, tra tutte la forza filostatunitense più convinta

Nonostante ciò appare evidente che si sia trattato di una contrapposizione possibile solo tra due alleati leali, pienamente consapevoli, cioè, che le proprie strade non avrebbero potuto divergere. Ma riavvolgiamo il nastro: Craxi e Andreotti, “il Leone e la Volpe”, in quegli anni costruiscono un’iniziativa di pace per Israele e la Palestina: un progetto che mira a riconoscere le ragioni di entrambi i popoli, senza squilibri. All’inizio del suo mandato, nel 1983, Craxi chiarisce quanto senta cruciale questa partita: “Siamo vitalmente interessati alla pace nel Mediterraneo. Nessuno potrà considerarci interlocutori estranei, o giudicarci animati da propositi invadenti, se ci toccherà di far valere sempre la nostra parola su tutte le questioni rilevanti aperte nel Mare Nostrum”.

Il leader socialista parla anzitutto del suo progetto con il presidente degli Stati uniti d’America Ronald Reagan, nell’autunno 1983, in un viaggio lampo a Washington: ne ottiene il sostegno, in cambio dell’impegno di Roma a indebolire i legami tra l’Urss e i suoi paesi satellite. Craxi e Andreotti si recano dunque ad Algeri, al Cairo, a Riad: incontrano il presidente egiziano Mubarak, il leader palestinese Arafat e il re di Giordania Hussein. L’iniziativa italiana prende corpo e ottiene consenso, salvo poi infrangersi a Roma nel febbraio 1985: è il premier socialista israeliano, Shimon Peres, a freddare Craxi, definendo prematuro il suo progetto e lasciandolo, di fatto, cadere: “Lo invitammo a cena a Roma e fu una cena difficile”, spiega Giuliano Amato, “Nonostante ciò, provammo a chiarire che la simpatia per l’Olp e Arafat non era ostilità per Israele ma favore per una politica di pace, che anche i laburisti israeliani condividevano”.

Il mese seguente, il presidente del Consiglio è di nuovo a Washington da Reagan. Contro il suo piano per il Medioriente, aveva fatto molto anche il cosiddetto “fronte palestinese del rifiuto”, che annoverava tra le sue fila anche Mohamed Abu Abbas che, come vedremo più avanti, sarà uno dei protagonisti cruciali dell’affaire Sigonella. Un progetto che comunque non era visto di buon occhio nemmeno da alcuni uomini di Reagan, come ad esempio l’ammiraglio John Poindexter, allora consigliere per la sicurezza nazionale, il suo vice Robert McFarlane e Michael Ledeen, sul quale torneremo a breve; questa almeno la tesi di Gennaro Acquaviva, il “cardinale” del Partito socialista, tra gli artefici del Concordato con il Vaticano e, all’epoca, capo della Segreteria di Palazzo Chigi.

Acquaviva ricorda anche come i primi due membri dell’amministrazione Usa siano stati coinvolti nello scandalo Iran-Contra: il triangolo di armi, soldi e ostaggi che, nel biennio 1985-’86, gli Usa costruirono per ottenere da Teheran la libertà di sette statunitensi rapiti in Libano, nonché per finanziare la guerriglia anti-sandinista in Nicaragua.

In quegli anni il terrorismo internazionale colpisce molti cittadini statunitensi nel Mediterraneo; per debellare questa piaga, Washington chiede e ottiene la massima collaborazione degli alleati, tra cui l’Italia. Tuttavia, non mancano le divergenze, ad esempio sul rapporto tra Roma e Gheddafi: tanto che nel 1984, un report del dipartimento di Stato statunitense definisce in proposito i dignitari italiani a bunch of chickens, “un branco di polli”. 

Ciò nonostante la relazione personale tra Bettino Craxi e Ronald Reagan è ottima: c’è chimica tra i due, racconta chi c’era. […] Ad ulteriore testimonianza di quanto fossero buone le relazioni tra Roma e Washington, si staglia un importante appuntamento in calendario: il 24 ottobre del 1985, giorno in cui Reagan attende Craxi a New York per consultarsi con lui e gli alleati più vicini, prima di incontrare per la prima volta il leader russo Gorbaciov nel novembre successivo a Ginevra, e iniziare dunque a porre fine alla Guerra Fredda.

Ma il 7 ottobre comincia un’altra storia: “Com’è possibile poi che un equipaggio composto non da ‘figli di Maria’, ma da marittimi di Torre del Greco si lasciò tenere per alcuni giorni sotto scacco da quattro persone? E che il Capitano poi, parlando con Craxi al telefono dicesse che non era successo niente, mentre invece era stata uccisa una persona?”.

Giulio Andreotti, riconoscibile e dissacrante, con queste parole va dritto alla vicenda madre della notte di Sigonella: il dirottamento dell’Achille Lauro.

Il 7 ottobre l’Achille Lauro si trova in acque egiziane. A bordo centinaia tra uomini d’equipaggio e croceristi, non solo italiani, ma anche portoghesi, svizzeri, austriaci, statunitensi e tedeschi. Quel giorno, un commando di quattro terroristi del Fronte di liberazione palestinese, ne assume il comando: “Quattro balordi alquanto disorganizzati – anche se Arafat non li definiva così –, sfuggiti al controllo dell’Olp e decisi ad ottenere da Israele il rilascio di 50 prigionieri”. Ragazzi molto giovani, uno di loro persino minorenne, motivo per cui Andreotti li reputava meno audaci dei già citati “marittimi di Torre del Greco”.

All’ora di pranzo, armati di Kalašnikov sovietici, intimano al comandante Gerardo De Rosa (originario di Gragnano, a pochissimi chilometri da Torre del Greco), di far rotta verso il porto di Tartus, in Siria: minacciano di uccidere un passeggero ogni mezz’ora, qualora le loro richieste non saranno accolte.

In seguito Giulio Andreotti rivelerà che furono gli Stati Uniti a consigliare di chiedere aiuto direttamente ad Arafat, e così fu fatto: fu il capo dell’Olp ad inviare sull’Achille Lauro due mediatori, Mohamed Abu Abbas – di cui abbiamo accennato – e Hani el Hassan. In quel momento, per il governo italiano, Abu Abbas è unicamente un facilitatore; solo successivamente emergerà la sua “vicinanza” ai quattro dirottatori, tutti legati alla frangia estremista del Fronte di liberazione palestinese, avversa al processo di pace auspicato da Craxi.

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Dopo alcuni tentativi diplomatici andati a vuoto e scartato un piano di intervento armato che il presidente della Repubblica Cossiga non disdegnava, arriva la svolta: è ormai il 9 ottobre; c’è l’accordo: i dirottatori libereranno nave e passeggeri ed in cambio non saranno perseguiti in Italia, ottenendo quindi, de facto, l’immunità. Arafat comunica a Craxi che un rimorchiatore egiziano preleverà i terroristi e che l’Achille Lauro sarà rilasciata con i passeggeri “sani e salvi”. Alle 15.30 le autorità egiziane confermano l’avvenuto rilascio e le buone condizioni di croceristi ed equipaggio.

Alle 18.00, il colpo di scena: il presidente del Consiglio apprende dal Comandante dell’Achille Lauro della morte di Leo Klinghoffer, un ebreo statunitense disabile, ucciso e gettato in mare dai terroristi. I quattro palestinesi hanno infranto il patto: è necessaria la cattura. A questo punto, Craxi chiede ad Arafat e all’Egitto l’estradizione dei sequestratori, affinché siano sottoposti a processo in Italia, e informa Ronald Reagan di non voler lasciare nulla al caso al fine di individuare e punire i colpevoli. Seguono ore frenetiche: poco prima della mezzanotte tra il 9 e il 10 ottobre, Reagan cerca Craxi tramite Michael Ledeen, uomo del suo staff di cui si è accennato sopra, e che, secondo Gennaro Acquaviva, per Craxi rappresentava un “rompiscatole”.

La Casa Bianca informa così il presidente del Consiglio che aerei militari statunitensi hanno intercettato un aereo civile egiziano all’altezza del canale di Sicilia: è diretto a Tunisi e ha a bordo i quattro dirottatori dell’Achille Lauro, i due negoziatori palestinesi (Mohamed Abu Abbas e Hani el Hassan) nominati da Yasser Arafat, un ambasciatore del governo del Cairo ed alcuni esponenti del Servizio di sicurezza egiziano. Gli Stati Uniti chiedono di poter far atterrare alla base aerea di Sigonella il Boeing egiziano e i propri aerei della Delta Force.

Secondo Gennaro Acquaviva, prima di Craxi sarebbero stati informati sia Giovanni Spadolini, ministro della Difesa, sia Giulio Andreotti, ministro degli Esteri, dai loro corrispettivi del Gabinetto Usa. Entrambi non avrebbero avvisato il presidente del Consiglio, pensando “si arrangi lui”; “A quel punto – prosegue – l’aereo dell’Egypt Air non aveva più carburante e doveva atterrare per forza”. Craxi concede infine l’autorizzazione all’atterraggio e chiede all’ammiraglio Fulvio Martini – direttore dei Servizi segreti del Sismi – che non si trova a Sigonella, di gestire le operazioni: alle 00.15 l’aereo egiziano tocca il suolo della base siciliana, non nella zona di competenza della Nato, bensì dell’Aeronautica italiana.

Sulla pista, il Boeing viene circondato dai Vam dell’Aeronautica Militare e dai Carabinieri; pochi minuti dopo atterrano due C-141 statunitensi: scendono i militari della Delta Force che, guidati dal generale Carl W. Steiner, si dirigono minacciosi verso l’aereo egiziano: vogliono i quattro terroristi palestinesi e i due mediatori, soprattutto Abu Abbas, sul quale hanno un’idea chiara: è lui l’ideatore dell’attacco all’Achille Lauro. Fronteggiano i nostri uomini; attimi di tensione. Ma in quel momento il comandante Riccardo Bisogniero, generale dell’Arma dei Carabinieri, in contatto con l’ammiraglio Fulvio Martini, gioca la carta decisiva: fa affluire, da Siracusa, altri Carabinieri, che giungono a Sigonella in trenta-quaranta minuti; l’ammiraglio Martini descrive così la scena sulla pista: “Tre cerchi concentrici attorno all’aereo, costituiti il primo dalla Vam e dai Carabinieri, il secondo dalla Delta Force, il terzo dagli altri Carabinieri arrivati da Siracusa”. 

Proviamo a fare un pausa e ad immaginare per un attimo i loro occhi e le loro mani, i loro stati d’animo: i soldati italiani sono nel loro territorio, ma non si muovono senza ordini precisi; gli americani vogliono a tutti i costi impadronirsi dei quattro palestinesi, responsabili, tra l’altro, dell’assassinio di un loro connazionale; e vogliono Mohammed Abu Abbas, ma sono inevitabilmente stretti da due schiere di soldati italiani: sembra il momento clou di un thriller ben congegnato. Per fortuna, sul terreno, i comandanti di ambo le parti mantengono un esemplare sangue freddo.

[…] Trascorse le 03.00, Reagan cerca nuovamente Craxi che nel frattempo, come racconta Gennaro Acquaviva, si è ritirato presso l’Hotel Raphael. È ancora Michael Ledeen a fare da interprete, e il primo inquilino della Casa Bianca chiede nuovamente la consegna dei terroristi palestinesi, responsabili dell’assassinio di Leo Klinghoffer. Il presidente del Consiglio risponde: “I reati sono stati commessi in acque internazionali, su una nave italiana, e pertanto devono essere considerati perpetrati in territorio italiano”; e aggiunge: “Il governo non può sottrarre – con proprie decisioni – alla competenza dei nostri tribunali, i responsabili del dirottamento dell’Achille Lauro.” Reagan ne prende atto, preannunciando l’intenzione del governo degli Stati Uniti di chiedere l’estradizione dei quattro.

Ma è un’altra richiesta a diventare la questione centrale di tutto l’affaire Sigonella, nonché vera ragione della crisi diplomatica: far sì che dal Boeing dell’Egypt Air scendano Mohammed Abu Abbas e l’altro dirigente palestinese che lo accompagna, che siano fermati ed ascoltati come ospiti testimoniali. Craxi risponde che sarebbero stati eseguiti degli accertamenti; parola che genera un’incomprensione molto difficile da chiarire, per via probabilmente di un altro gap: quello linguistico. “Quel ‘farò accertamenti sugli accompagnatori’, potrebbe essere stato tradotto da Michael Ledeen come ‘consegnerò gli accompagnatori’”, sostiene Gennaro Acquaviva, proseguendo tuttavia che non si saprà mai: i militari statunitensi registrano la telefonata e possono controllare quanto detto, mentre Craxi parla dall’Hotel Raphael tramite la batteria di Palazzo Chigi, dove nessuno pensa a registrare la conversazione. Nel mentre, le autorità italiane arrestano i quattro dirottatori palestinesi, con l’assenso del governo egiziano, ma per Mohamed Abu Abbas la risposta della diplomazia del Cairo è negativa: è da considerarsi loro ospite. Inoltre, il Boeing egiziano è in missione governativa e perciò gode del regime di extraterritorialità.

La telefonata tra Reagan e Craxi sblocca comunque la situazione, così alle 5.30, come rievoca Fulvio Martini, il generale Steiner riceve nuovi ordini, si reimbarca con i suoi uomini e, pochi minuti dopo, i due C-141 ripartono per gli Stati Uniti. Tuttavia la contesa è tutt’altro che conclusa: la giornata dell’undici ottobre prosegue con l’identificazione dei terroristi da parte della Procura di Siracusa; il governo egiziano esige il rilascio immediato del proprio aereo, ad eccezione dei quattro dirottatori palestinesi di cui era stata accordata la custodia alle autorità italiane. Nel frattempo, l’Achille Lauro è ancora bloccata in acque egiziane. Un nostro diplomatico raccoglie una testimonianza di Mohamed Abu Abbas a bordo dell’aereo. Alle 20.15 il Procuratore di Siracusa dichiara che il velivolo può lasciare la base di Sigonella, mentre il governo italiano ottiene che il Boeing 737 possa spostarsi all’aeroporto di Ciampino per ulteriori accertamenti. 

Craxi sottolinea come questa sia una mossa volta a tener fede agli impegni presi con l’amministrazione statunitense, al fine di appurare il coinvolgimento dei due dirigenti palestinesi nel dirottamento dell’Achille Lauro. Così alle 22.01 il Boeing dell’Egypt Air decolla da Sigonella alla volta di Ciampino, mentre quattro caccia italiani partono contemporaneamente da Gioia del Colle per scortarlo.

Alle 22.04 dalla pista siciliana si alza in volo anche un aereo Usa non autorizzato, e si mette in scia al Boeing egiziano: il pilota non risponde alle domande di identificazione e chiede ai nostri caccia di allontanarsi. Volano parole forti tra i piloti italiani e gli statunitensi, come rivelerà anni dopo Cossiga, sostenendo di aver ascoltato le registrazioni. A 40 chilometri da Ciampino l’aereo a stelle e strisce scompare dai radar. Alle 23.00 il velivolo egiziano è atterrato sul suolo dell’aeroporto militare di Roma e subito dopo un Jet T39 americano atterra a qualche decina di metri, dichiarando una situazione di emergenza. Il governo italiano eleva formale protesta, ma qualche ora dopo, quando sono ormai le 5.30 del 12 ottobre, riceve dall’ambasciatore statunitense Maxwell M. Rabb una richiesta di arresto provvisorio per Mohamed Abu Abbas, ai fini di estradizione, con l’accusa di pirateria, cattura di ostaggi e associazione a delinquere. 

La risposta italiana, dopo ulteriori accertamenti giuridici, è negativa: la Magistratura non dispone il fermo né del velivolo, né dei due mediatori palestinesi (Abu Abbas e El Hassan), perciò nel tardo pomeriggio il Boeing egiziano si sposta a Fiumicino e alle 19.00 Mohamed Abu Abbas lascia l’Italia, sotto falso nome, a bordo di un aeromobile jugoslavo diretto a Belgrado. Subito dopo, la nave Achille Lauro ottiene l’autorizzazione a lasciare le acque egiziane per giungere poi in Italia quattro giorni dopo, il 16 ottobre.

Anche secondo le valutazioni di Giulio Andreotti in quel momento l’Italia non ha riscontri rispetto al coinvolgimento di Abu Abbas ai danni dell’Achille Lauro e dei suoi passeggeri.

L’ammiraglio Fulvio Martini ricorda: “Quando Abu Abbas lascia l’Italia, il Sismi, e di conseguenza il governo italiano, non avevano alcuna prova che il palestinese fosse il capo dei terroristi e personalmente responsabile del dirottamento dell’Achille Lauro: lo sostenevano gli americani, ma le autorità italiane non erano riuscite ad avere le prove dei legami tra quel dirigente del Fronte per la Liberazione della Palestina e i quattro dirottatori. Per questo l’Italia, ligia alla parola data a Mubarak e ad Arafat, e anche secondo alcuni principi di diritto, non poteva trattenerlo”.

E ancora: “Nel tardo pomeriggio di quel giorno altre prove arrivarono dal Mossad; non si poteva però avere alcuna certezza, e comunque ormai era tutto inutile, in quanto Abu Abbas aveva lasciato da meno di un’ora il territorio italiano. Soltanto alcuni giorni dopo ci fu consegnata la documentazione completa, e quindi chiarificatrice, dei colloqui tra Abbas e i quattro terroristi della Achille Lauro: le loro comunicazioni erano state intercettate dai mezzi elettronici di vari Servizi americani; forse, se ce l’avessero date un po’ prima, le cose sarebbero andate diversamente”.

Sulla base di quella documentazione, infatti, già nel 1986 la Magistratura italiana condannerà all’ergastolo, in contumacia, Abu Abbas, attribuendogli la responsabilità del dirottamento dell’Achille Lauro. Giuliano Amato ci consegna questa chiosa sull’intera faccenda:

“Gli americani avevano torto in realtà; anche se credo di poter dire in tutta sincerità che Craxi fu un po’ vittima di un gioco fatto dai palestinesi: si rivolse ad Arafat per avere un mediatore e fu inviato uno che risultò essere l’organizzatore o tra gli organizzatori del sequestro […] In definitiva, gli Stati Uniti avevano torto nel voler spadroneggiare sul nostro territorio come se fosse casa loro; avevano ragione, però, nel pensare che Abbas non fosse il mediatore, ma qualcos’altro.”

Il fatto che Abu Abbas lasci impunemente l’Italia indispettisce Washington: un comunicato della Casa Bianca definisce stupefacente la nostra scelta. Il 13 ottobre Maxwell M. Rabb, l’ambasciatore, si reca alla Farnesina e accusa il nostro governo di essere “imbelle, protettore dei terroristi, irriconoscente alleato”.

Il ministro della Difesa Spadolini, segretario del Partito repubblicano, telefona all’ambasciatore italiano a Washington, Rinaldo Petrignani, ed esprime tutta la sua preoccupazione per l’immagine dell’Italia, che in quelle ore diventa, negli Stati Uniti, oggetto di una forte campagna di stampa avversa, che ne mette in dubbio l’affidabilità.

Petrignani si confronta anche con il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il quale si afferma convinto che quella operata fosse la sola condotta praticabile, e che sarebbe stato necessario portare gli Usa alla consapevolezza che fossero in gioco degli interessi più vasti rispetto al caso Abbas: i rapporti italiani con l’Egitto, il processo di pace ideato da Craxi, il Mediterraneo. Petrignani racconta anche come Andreotti fosse irritato per il comportamento degli Usa, ma che preferiva non parlarne pubblicamente per non gettare benzina sul fuoco.

Il 15 ottobre a Bruxelles, in sede Nato, Andreotti si incontra con il segretario di Stato americano George Shultz: un incontro difficile. Entrambi richiedono ai propri collaboratori di redigere un comunicato di chiarimento che prediliga gli aspetti giuridici della questione, evitando di menzionare le violazioni dei marines. Il testo viene respinto da Washington. L’indomani 16 ottobre, per rompere lo stallo, Andreotti telefona a Vernon Walters, influente ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, nonché suo amico, facendogli presente che senza un’immediata rettifica di tono da parte di Washington, né lui né Bettino Craxi voleranno a New York alla riunione attesa per il 24 ottobre.

Nelle stesse ore, intanto, il ministro Spadolini e gli altri ministri del Pri si dimettono: la maggioranza non c’è più. Gennaro Acquaviva mette a fuoco un punto: “I repubblicani volevano apparire come i più vicini agli Stati Uniti, ma tutti nella maggioranza lo erano. Ognuno però con i propri riferimenti: chi nel dipartimento di Stato, chi nella Cia”. Racconta poi di un duro litigio tra Bettino Craxi e il segretario della Dc De Mita, durato quasi tre ore: il presidente del Consiglio si era risolto ad andare alla Camera per riferire su tutta la crisi Achille Lauro-Sigonella ma De Mita gli intimò di non farlo, minacciandolo che in caso contrario i parlamentari Dc avrebbero lasciato l’aula. 

Il 17 ottobre Craxi è a Montecitorio e davanti a tutti i parlamentari, compresi quelli della Dc, rivela la vicenda nei particolari con cui è stata qui raccontata, sottolineando ancora una volta come il governo non conoscesse le responsabilità di Abu Abbas e ribadendo di aver assicurato accertamenti sulla sua posizione, invece che la sua consegna tout court.

Craxi non omette la narrazione dei comportamenti dei marines, e chiude il discorso annunciando le sue dimissioni: per la prima volta, un governo va in crisi a causa della politica estera. Cossiga dà supporto a Craxi, consigliandogli di restare a Palazzo Chigi: capiva bene, come spiega anche Gennaro Acquaviva, come fosse in ballo non solo la credibilità di Craxi, ma dell’Italia intera.

A questo punto il filo tra Washington e Roma è davvero teso: Vernon Walters (l’ambasciatore Usa all’Onu riferimento di Andreotti) chiede la disponibilità del presidente del Consiglio, subito accordata, ad incontrare il numero due del dipartimento di Stato, John C. Whitehead, latore di una lettera da parte di Ronald Reagan, che riceve il 19 ottobre: “Dear Bettino, sono desideroso di vederti a New York la settimana prossima”è l’incipit confidenziale della missiva che Reagan firma in calce “Ron”. Craxi riconosce come con quella lettera il presidente gli stesse rinnovando il suo invito negli Stati Uniti, sollecitando al contempo una chiusura del caso.

E così, il 24 ottobre il presidente del Consiglio è a New York; Ronald Reagan e Bettino Craxi si stringono la mano: “Amici come prima”, afferma il leader socialista, cui Reagan risponde: “L’amicizia tra Stati Uniti e Italia è salda e nulla potrà turbarla.” Sette giorni dopo il presidente Cossiga rinvia il governo alle Camere: la crisi del pentapartito si chiude definitivamente con “Andreotti e Craxi che restano al loro posto”, come auspicato da De Mita in una conversazione con l’ambasciatore italiano a Washington, Rinaldo Petrignani, avvenuta nelle ore più difficili della crisi con gli Usa.

Il sei novembre 1985 la Camera approva le comunicazioni del governo sulla politica estera con 347 voti favorevoli e 238 contrari. Craxi e Andreotti, al loro posto.

Da L’America per noi di Mario De Pizzo. In alto, la base aerea NATO di Sigonella con l’Etna sullo sfondo.

Mario De Pizzo

Mario De Pizzo, giornalista del Tg1, segue l'attività dei presidenti del Consiglio e l'attualità politico parlamentare. Ha pubblicato con Luciano Violante Il primato della politica (Rubbettino, 2014)