Accolto con clamore in tutto il mondo, e cinquant’anni dopo ”La banalità del male”, questo libro capovolge l’immagine di Eichmann e del nazismo data da Hannah Arendt. Il gerarca nazista Adolf Eichmann, dopo la fine della seconda guerra mondiale, fuggì in Argentina e lì visse nascosto finché non venne catturato dai servizi segreti israeliani e portato a Gerusalemme per il celebre processo. Bettina Stangneth, filosofa tedesca esperta di inganno e manipolazione, ne ha seguito le tracce lasciate durante la sua latitanza, rintracciando i suoi nascondigli e portando alla luce documenti segreti e dettagli inediti, svelando così le abili macchinazioni con cui uno dei principali architetti della Shoah, che egli riteneva “il suo capolavoro”, definì se stesso “funzionario d’ordine” e “piccolo ingranaggio nella macchina di annientamento nazista”. Stangneth dimostra che l’immagine di grigio burocrate, inetto e poco intelligente, della quale si convinse Hannah Arendt, che così lo raccontò a milioni di lettori, fu in realtà studiata a tavolino dallo stesso Eichmann, abile manipolatore sociale che sperava in questo modo di aver salva la vita. Non ci riuscì, ma riuscì – fino a oggi – a perpetrare un inganno ancora più terribile: farci credere che il diavolo non esiste.
Un grigio burocrate allevatore di conigli
Insomma, l’immagine che abbiamo oggi di Eichmann sarebbe stata essa stessa creata a tavolino durante le sue ultime riflessioni effettuate in Argentina, luogo che lo accolse fino al famoso processo di Gerusalemme. Stando alla narrazione israeliana di Eichmann, la vita che aveva sempre desiderato il grigio burocrate era iniziata solamente nel 1945, ovvero quando l’illusione del Reich millenario era andata in frantumi. Secondo le sue parole, improvvisamente, il responsabile della questione ebraica, una volta svanito il sogno nazista, si era trasformato in quell’innocuo allevatore di conigli che nel profondo del suo cuore era sempre stato. Perché, in fin dei conti, ad essere cattivo e spietato era il regime, non i suoi singoli funzionari che venivano solamente trascinati nell’impeto sterminatore dall’intero sistema a cui non potevano opporsi. Secondo la sua narrazione, la stessa carriera sotto Hitler sarebbe stata frutto del caso. Dopo la caduta del Reich, insomma, la speranza di Eichmann era che anche sulla tomba del genocidio nazista sarebbe prima o poi cresciuta dell’erba in grado di coprire e nascondere il tutto.
Ritornare ad Eichmann dopo La banalità del mare
Nessun libro su Adolf Eichmann, e forse addirittura nessun testo sul nazionalsocialismo, ha suscitato così tante discussioni come ”La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, raggiungendo ciò che i filosofi, a partire da Socrate, vogliono più di ogni altra cosa: la dialettica per arrivare alla verità e alla conoscenza. Tuttavia, dopo anni da quel memorabile testo, fondamentale per chiunque voglia approcciare una materia tanto complessa quanto impegnata, qualcosa continua a sfuggire, e farvi riferimento, inflazionarlo senza uno sguardo rinnovato, può snarturarlo fino a renderlo anacronistico. Si ha come l’impressione che da qualche tempo non si riesca più a mettere più al centro il tema ”Eichmann”, ma si preferisca parlare più del dibattito in sé, del tono assunto e delle teorie che sono in grado di sussumerlo dentro un’interpretazione storica definitiva. Il tutto a discapito di un’evoluzione che possa andare oltre gli elementi acquisiti dalla filosofia fino al 1961. Eppure, un dato rende necessario quantomeno un altro tentativo: il semplice fatto che è passato del tempo, e che si sono di fatto accumulati altri docomenti, abbiamo avuto accesso ad altre fonti in grado di aggiungere qualche elemento importante.