Comunemente considerate storie per i più piccoli, le fiabe nascondono un universo inesplorato e complesso. Nate nella notte dei tempi come forma di narrazione arcaica, le fiabe hanno conservato lo status che le ha sempre caratterizzate quello di rappresentare uno spazio d’eccezione, al di fuori delle regole sociali dominanti, nell’ambito del quale prendono voce attraverso animali, oggetti incantati, folletti e fagioli magici, tutti coloro che, nel mondo dei grandi, sono costretti alla marginalità e al silenzio. In un libro a metà tra esplorazione antropologica e trattato storico, Silvia Andreoli presenta la fiaba come genere prediletto della fantasia e della libertà, in cui prendono forma aspirazioni, angosce e rivincite dei piccoli sui grandi.
Le fiabe sono come mappe, voci anch’esse di un’enciclopedia, illusoria quanto volete, ma che alla resa dei conti lanciano messaggi diretti a noi. Le fiabe sono “finzioni”, cioè mondi immaginari possibili, vivono sì in un pianeta fantastico, collocate in un’ “enciclopedia pirata”, ma in buona sostanza parlano di noi.
Dalla prefazione di Sebastiano Maffettone