Proponiamo un estratto da La Russia eterna di Luca Gori. La Russia è diventata la patria del pensiero conservatore. Questo libro, analizzando i concetti fondanti del nuovo conservatorismo russo e il pensiero degli intellettuali che lo hanno ispirato, ricostruisce la parabola attraverso cui la nuova ideologia è diventata cultura politica dominante. 

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La definizione di conservatorismo russo adottata in questo lavoro fa riferimento, oltre che all’esigenza di un cambiamento organico, all’unicità storico-culturale della Russia e quindi al tema della sua identità. Pochi Paesi si sono confrontati con tale questione in modo così ossessivo, pervasivo e inconcludente come la Russia. Anche i conservatori non hanno mai trovato una formula univoca sull’identità russa, dividendosi in particolare sul peso da assegnare al rapporto tra Mosca e Occidente. Proprio su questo aspetto, la stessa natura del conservatorismo russo si presta a interpretazioni divergenti. Da un lato, affondando le sue radici nel rigetto delle riforme di Pietro il Grande, si presenta come movimento nazionale a difesa della russità contro i rischi di assimilazione occidentale. Dall’altro, avendo subito l’influenza del Romanticismo tedesco, suggerisce di essere inquadrato nel più ampio movimento europeo di reazione all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese.

Non vi è dubbio comunque che il baricentro tradizionale del pensiero conservatore – da Michail Pogodin agli slavofili, dai pochvenniki al panslavismo, dalle teorie di Danilevskij e Leont’ev sino alle varie espressioni dell’eurasianismo anche post sovietico – è orientato a favore di una Russia come soggetto distinto e autonomo dall’Occidente. In certi casi, questa separazione è stata spinta sino a forme esplicite di antioccidentalismo, tanto da indurre alcuni analisti a leggere il conservatorismo come mera declinazione di un sentimento nazionalista. In altre circostanze, quella linea di demarcazione è stata invece interpretata come membrana reale ma permeabile, consentendo
alle radici del conservatorismo russo di apprezzare maggiormente la radice europea della cultura russa. Del resto, molti intellettuali conservatori del XIX secolo avevano studiato nelle università dei più importanti Paesi europei, dove viaggiavano con regolarità, ammirandone lingua e cultura.

In ogni caso, l’Occidente è sempre stato il punto di riferimento rispetto al quale la Russia ha provato a definire la sua identità.

E i conservatori – pur in un’ampia gradazione di sensibilità e opinioni – sono riusciti a convergere sulla visione di una Russia indisponibile a “ricalcare” pedissequamente modelli di sviluppo proposti dall’esterno, anche quando hanno riconosciuto l’esistenza di una contaminazione culturale con il Vecchio continente. Alla base di questa autorappresentazione, vi è la convinzione che Mosca non si sia mai arresa al semplice razionalismo illuminista, dimostrandosi invece capace di mantenere una prospettiva storica più ampia, che oltre alla “ragione” includesse anche “l’anima e il cuore dell’uomo”, come ebbe modo di scrivere Gogol’ e come avrebbe ulteriormente elaborato Pavel A. Florenskij, uno dei più importanti pensatori cristiani del Novecento. E sarebbe stata proprio questa diversa “concezione del mondo” che infine avrebbe permesso a Mosca, venuto il tempo, di salvare l’Europa dalla sua decadenza morale, restituendole autenticità e ponendo così le condizioni perché la Russia stessa potesse riconciliarsi con il Vecchio continente.

“Vedrete – profetizzava il conservatore Gogol’ – che l’Europa verrà da noi non per comperare canapa e lardo, ma per acquistare una saggezza che ormai non si vende più nei mercati europei”. All’interno del perimetro di questo dibattito identitario, esiste un mito – l’Idea Russa – che ha estremizzato il concetto di unicità della Russia, trasformandolo in ideologia. Interrogandosi sul destino del proprio Paese, alcuni pensatori – dagli slavofili del XIX secolo sino ai dissidenti dell’era Brežnev e ai conservatori post sovietici – hanno enfatizzato il fatto che la Russia potesse contare su una propria tradizione storico-culturale, indipendente e autosufficiente, cui avrebbe dovuto restare fedele nella definizione del suo percorso di modernizzazione. L’Idea Russa ha postulato cioè l’esistenza di un archetipo – una Russia eterna, immobile e immodificabile – che avrebbe segnato una volta per tutte la natura originale del Paese, “con tutte le conseguenze messianico-nazional-ideologiche che tale concezione comportava”.

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Per la verità esistono varie versioni dell’Idea Russa, in linea con le diverse interpretazioni proposte dai suoi sostenitori o simpatizzanti: da Herzen a Gogol’, da Leont’ev a Solov’ev, da Dostoevskij a Berdjaev, da Il’in a Solženicyn. Oltre al concetto di unicità della storia e della cultura russa, vi sono però due elementi che possiamo ritrovare in quasi tutti i promotori conservatori dell’Idea Russa:

una certa postura nazionalista e antioccidentale e il perseguimento di un fine escatologico.

Per quanto concerne il primo aspetto, va ricordato che l’Idea Russa nacque come reazione tradizionalista alla forzata europeizzazione di Pietro il Grande. La rivoluzione culturale che egli promosse generò uno scisma profondo nel Paese, anzitutto tra Stato e popolo, ma anche tra classi ben istruite e contadini. Aprendo in Russia, con un movimento apparentemente innaturale, una “finestra sull’Europa”, Pietro finì per favorire la nascita di un pensiero nazionale originale, attraverso l’opera di Puškin, Dostoevskij e Tolstoj. Nella sua rivelazione identitaria, l’Idea Russa prese pertanto forma rigettando nettamente i valori occidentali e quindi profilandosi da subito più come un’ideologia nazionalista che come un semplice movimento culturale. Si accompagnò infatti alla percezione complottistica di un Occidente che voleva indebolire la Russia perché mal sopportava la sua indipendenza. La riscoperta delle radici valoriali russe fu improntata sin dall’inizio a un approccio difensivista. L’Idea Russa nacque “in opposizione” a qualcosa di esterno, senza accettare di fare sintesi tra valori diversi, perché espressione di una visione di modernità ispirata a una irredimibile unicità.

In merito al secondo elemento, fu in particolare Nikolaj Berdjaev a parlare di un’Idea Russa dal forte valore escatologico, votata alla trasformazione etica della società. Secondo Berdjaev l’Idea Russa aveva una radice spirituale, per cui “il popolo russo, secondo la sua Idea eterna, non ama l’organizzazione di questa città terrena ed è teso alla Città del Futuro, alla Nuova Gerusalemme”. Ma per Berdjaev la coscienza della Russia, la sua unicità, non era solo religiosa. Era anche messianica. Nel suo pensiero, l’Idea Russa rappresentava una nuova Idea dell’uomo e assortiva sentimenti apocalittici e massimalisti. Era pellegrinaggio spirituale, ascetismo e nichilismo, rimessa in discussione dei valori della storia. Era fede nella definitiva trasfigurazione del mondo intesa come salvezza universale.

In definitiva, partendo da questi aspetti qualificanti, l’Idea Russa promossa dai conservatori si basava sui seguenti princìpi, che sono altrettanti ideologemi: l’unicità (e per molti la superiorità) della cultura, della storia e del percorso di modernizzazione della Russia; una società etica orientata sui “valori ultimi”, sulla verità rivelata (dal cristianesimo o dallo Stato); una più elevata forma di comunità, secondo il modello dei villaggi contadini; un’uguaglianza di risultati e condizioni, non solo di opportunità, nella vita e nelle aspettative del popolo; uno Stato forte, centralizzato e paternalistico, lontano dalle concezioni liberali di stampo europeo; un’opposizione dogmatica all’Occidente e ai suoi valori; una missione universale che sarebbe stata declinata in forme diverse (Terza Roma, panslavismo, eurasianismo) a seconda delle diverse epoche storiche e che, nella sua versione laica, avrebbe aperto lo spazio alla tentazione imperialista di Mosca e alla sua ossessiva ricerca di uno status di grande potenza.

L’Idea Russa e la cifra identitaria che esprime è sempre stata tuttavia contestata. Già nell’Ottocento gli Occidentalisti negarono che rappresentasse lo spirito naturale e originale della Russia. Per Petr Čàadaev, prima di Pietro il Grande e della sua rivoluzione culturale non sarebbe esistita neppure una tradizione o una storia russa unitaria cui far riferimento, e alla quale “tornare”. Un concetto che espresse in modo brutale, tanto da essere dichiarato pazzo, con queste parole: “Non una sola idea utile è germinata sul suolo sterile della nostra patria”. Secondo lo storico Aleksandr Ivanov, in un ragionamento che muove da una prospettiva occidentalista, l’Idea Russa va contestata e criticata anche perché si sarebbe prestata a una costante degenerazione nazionalista. Con il regno di Nicola I, l’Idea Russa avrebbe infatti affossato l’opzione europeista promossa dai decabristi e usurpato il concetto di patriottismo, facendolo coincidere con un principio di lealtà verso il regime. Un sentimento che Aleksandr Herzen avrebbe poi definito con l’espressione “patriottismo di Stato”.

A seguito della sconfitta nella guerra di Crimea, l’Idea Russa finì inoltre per sovrapporre patriottismo e nazionalismo, alimentando in Russia un pericoloso senso di superiorità e rivalsa.

Un revanscismo molto caro al conservatore Dostoevskij che ne I demoni affida a Šatov le seguenti parole: «Un vero grande popolo non può mai rassegnarsi a una parte secondaria nell’umanità […]. Se perde questa fede non è più un popolo. Ma la verità è una sola, e, per conseguenza, uno solo fra i popoli può avere il vero Dio […]. Il solo popolo “portatore di Dio” è il popolo russo».

Dostoevskij voleva dunque una Russia protagonista assoluta della Storia. Vladimir Solov’ev vide tuttavia nell’esaltazione di questo destino unico e superiore una pericolosa involuzione dell’Idea Russa di cui egli stesso era stato promotore. E – con spirito profetico – vi lesse il presagio dell’autodistruzione nazionale, come sarebbe accaduto di lì a poco con la Prima guerra mondiale. E come si sarebbe poi ripetuto, tra il 1917 e il 1991, con la parabola dell’Unione Sovietica. Un rischio di implosione – osserva criticamente Ivanov – che la Russia conservatrice di oggi conosce bene e che dovrebbe quindi cercare di evitare.

Non è naturalmente questa la sede per affrontare il complesso dibattito tra occidentalisti e slavofili, mentre è un dato di fatto che la Russia abbia subìto influenze esterne (bizantina, tatara, europea) e abbia visto diverse tendenze di pensiero confrontarsi sulla sua essenza identitaria e sulla sua missione storica. Basti ricordare, su questi temi, i dibattiti tra Vissarion Belinskij e Gogol’ o tra Andrej Sacharov e Solženicyn. Ciò che qui conta rilevare è che politicamente – dall’epoca zarista alla perestroika di Gorbačëv, sino a Putin – siano spesso prevalsi in Russia i promotori di una qualche forma di Idea Russa, cioè di un percorso speciale e nazionalista di sviluppo del Paese, basato su specifici valori e specifiche istituzioni, distanti o diverse dall’Occidente. Secondo alcune interpretazioni, la stessa Urss, nella sua versione stalinista, avrebbe in qualche modo riproposto una forma sovietica di Idea Russa, l’internazionale comunista, contro i concetti filosofici europei intro- dotti dal marxismo-leninismo e dalla rivoluzione bolscevica.

Per molto tempo si è ritenuto che con il 1991 il mito dell’Idea Russa fosse tuttavia finito. Che la sua egemonia culturale si fosse esaurita. Che il paradigma di un Paese con una tradizione politica e storica unica e autonoma non fosse più sostenibile. Che fosse possibile distinguere tra patriottismo e nazionalismo. Che fosse giunto il momento di una Russia davvero europea e moderna. Ciò non solo per la drammatica esperienza che il Paese aveva sperimentato durante gli anni dell’Urss. Ma anche perché le stesse ideologie del Novecento sembravano ormai anacronistiche, al punto da lasciare spazio a un mondo postmoderno che disegnava un nuovo spazio storico globale, aperto, condiviso e omogeneo, dove anche la Russia avrebbe inevitabilmente trovato il proprio posto.

Questa visione si è però rivelata illusoria. Tanto che oggi la “svolta conservatrice” di Putin può essere considerata a tutti gli effetti come la riproposizione di una nuova forma di Idea Russa.

L’affermazione va tuttavia precisata e contestualizzata. Possiamo parlare infatti del ritorno dell’unicità russa nel XXI secolo a condizione di considerare quel mito non come una verità mistica, fissa e immodificabile, ma come l’esito di un processo storico, la ricerca costante di un tratto culturale originale rispetto a una realtà politica, interna e internazionale, in continuo divenire. In questo senso, l’Idea Russa post sovietica – il “putinismo” come ideologia si presenta soprattutto come un contenitore di proposte conservatrici funzionali a un disegno patriotti-co di sovranità politica, di autocoscienza nazionale e di riaffermazione di un ruolo di grande potenza sullo scenario globale. Un progetto fondato – come messo in evidenza dallo stesso Putin sin dal suo “Millennium message” del 1999 – su una visione tradizionalista della storia, della cultura e degli interessi della Russia. Qualcosa di più di un cinico gioco di potere o di una semplice politica nazionalista. Il momento in cui, dopo lo smarrimento del 1991, Mosca ha compiuto una mossa di “difesa avanzata” della sua indipendenza e della sua civiltà, percepite entrambe sotto assedio da parte dell’Occidente, provando a dare una risposta organica alle domande inevase sulla sua identità nazionale post sovietica.

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Da La Russia eterna di Luca Gori (pp. 34-39). In alto, foto di Eduardo Casajús Gorostiaga – Unsplash 

Luca Gori

Luca Gori è un diplomatico italiano, ha prestato servizio nelle Ambasciate d’Italia a Mosca, Washington e nella Rappresentanza Permanente italiana presso l’Unione europea a Bruxelles. È autore di vari saggi di politica internazionale, tra i quali Il russo del diplomatico (Studio Editoriale Gordini, 2007), L’Unione europea e i Balcani occidentali (Rubbettino, 2007), L’America allo specchio (Aracne, 2015), L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, con Alessandro Aresu (Il Mulino, 2018).