Proponiamo un estratto del volume La scrittura. Ideologia e rappresentazione. Passando in rassegna forme, materiali, destinazioni d’uso e attraversando le epoche Armando Petrucci, tra i più grandi paleografi e storici della scrittura, svela il profondo significato politico della scrittura – scolpita, graffita, dipinta, esposta con orgoglio o furtivamente tracciata, ma in nessun caso neutrale. Un magistrale profilo storico dell’epigrafia italiana che, allo stesso tempo, è una storia culturale di ogni manifestazione della visualità dello scrivere. Il saggio di Petrucci, che pubblichiamo con apparati completamente rinnovati e una guida alla lettura, inaugura una nuova collana di Luiss University Press, Kairós, in cui proporremo testi fondamentali del sapere umanistico che hanno cambiato la nostra visione del mondo.

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Eppure i muri delle città italiane non sono ritornati «puliti»; eppure i lucidi manifesti della pubblicità commerciale e di quella politica non sono rimasti soli a riempire gli spazi urbani con i loro eleganti segni, con i loro rassicuranti ed elementari messaggi. Qua e là, in modo disordinatamente aggressivo, compaiono ancora comparti di scritte spontanee, fatte di simboli, di slogan, di nomi. La guerriglia continua, assale monumenti ed edifici, compare ora sui muraglioni lungo i corsi d’acqua e le linee ferroviarie, ora sui recinti delle fabbriche; esplode accanto agli stadi o nelle borgate dormitorio; riappare nelle università e nelle scuole, si rifugia nelle periferie, insozza improvvisamente saracinesche e cartelli stradali, deforma manifesti, ricopre statue: esiste, insomma.

In questi ultimi anni si sono venute formando nelle maggiori città italiane prassi di scrittura esposta spontanea assai diverse fra loro per natura, stile, finalità, modelli, collocazione, ma tutte parimenti riconducibili all’universo giovanile, alle sue variegate e separate forme di cultura, alle sue esasperate necessità di comunicazione e di espressione.

Alcune, di motivazione puramente erotica o interpersonale, richiamano i modelli della subcultura musicale propria del settore e possono trovarsi dappertutto; altre, di estrema destra o di estrema sinistra, sono ancora legate, anche formalmente, alle precedenti tradizioni «movimentiste» di cui si è detto ampiamente; altre ancora appaiono proprie di particolari categorie di giovani costretti istituzionalmente alla convivenza coatta, come militari o studenti; per arrivare infine, ai livelli più bassi della creazione linguistico grafica, alle scritte murali delle bande sportive.

Soprattutto per quanto riguarda queste ultime, largamente presenti in alcune precise aree della città, occorre dire che i prodotti grafici della nuova guerriglia urbana sono diversi dai precedenti, da quelli propri del Movimento e del 1968 e del 1977; sono, in genere, ridotti alla sola scritta murale; semplicissimi nel contenuto e nella formulazione; incerti, approssimativi, rozzi nell’esecuzione grafica sia dei segni alfabetici che dei simboli figurali; rispettosi, invece, degli stereotipi tradizionali della scrittura per quanto riguarda l’allineamento e l’impaginazione; in complesso appaiono schiavi di una cultura grafica elementare, ripetitiva, sostanzialmente subalterna, espressione a sua volta di un semialfabetismo improduttivo e inutile, usato soltanto all’interno di un circuito chiuso e separato, fatto di incultura, di esclusione sociale, di violenza.

E non è certamente un caso che anche le scritte e i prodotti grafici dei gruppi del cosiddetto «partito armato» appartengano a questa tipologia semplificata e povera; e in particolare che i cartelli e i manifesti delle Brigate rosse, accuratamente scritti a mano, appaiano in genere caratterizzati da una grafica geometrizzata e priva di inventiva tipicamente piccolo borghese.
L’Italia, come e più di altri Paesi capitalistici ad alto sviluppo industriale, è ricca di cittadini giovani o adulti praticamente semialfabeti o analfabeti di ritorno; di cittadini «non costituzionali» come li definisce Tullio De Mauro; di uomini e donne «dalle mani mozze», incapaci, praticamente di scrivere, privi del tutto di «cultura grafica», anche se alfabetizzati dalla scuola dell’obbligo; relegati in genere ai margini degli agglomerati urbani, ai margini del processo produttivo, ai margini della vita politica e sindacale.

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Ebbene, buona parte della più recente grafica spontanea che ricopre qua e là, in chiazze disordinate, i muri delle città italiane, è dovuta al nuovo sottoproletariato semialfabetizzato, ai giovani e giovanissimi abitanti delle borgate che a scuola hanno imparato che «cazzo», «culo» e «forza Roma» possono non soltanto essere urlati, ma anche «scritti» e scritti sul muro. Un fenomeno, questo della nuova scrittura spontanea, che ha qualche punto di contatto con quello dei cosiddetti «graffiti» di New York, prodotti nei quartieri ghetto della metropoli americana da giovanissimi neri e portoricani e costituiti praticamente soltanto dall’ossessiva ripetizione del soprannome di ogni singolo scrivente dipinto in forme fantasticamente elaborate e colorate.

Ma basta recarsi nelle zone a ridosso dello Stadio Olimpico di Roma, o di qualsiasi altro stadio di grande città italiana, per rendersi conto di quanto la natura e la tipologia dei due «generi», quello dei «graffiti» di New York e quello delle nuove scritte sottoproletarie italiane, siano profondamente diverse. Nel primo caso si tratta di una realizzazione sostanzialmente estetico figurale, con una forte volontà rappresentativa, e quasi del tutto priva di messaggio verbale; nel secondo caso è assente ogni consapevole preoccupazione estetica e il messaggio è costituito da un contenuto verbale di estrema rozzezza, fatto di slogan o di minacce e ingiurie brutali; nel primo caso si tratta di prodotti rigorosamente individuali e «firmati»; nel secondo, al contrario, di prodotti anonimi e di gruppo, o meglio di «banda»; nel primo caso i modelli sono costituiti dalla grafica della pubblicità e dei fumetti; nel secondo soprattutto dalle scritte murali politiche, in particolare da quelle fasciste, caratteristiche per la loro estrema semplificazione e brutalità.

Non a caso questa nuova grafica spontanea non costituisce modello egemone, non è imitata dalla pubblicità, soprattutto non offende la borghesia, non commuove né opinione pubblica, né autorità; chiusa nei suoi luoghi deputati, stadi, stazioni della metropolitana, borgate, essa è lasciata proliferare nell’indifferenza e nel silenzio.

Al Foro Italico di Roma, quasi per un’oscura nemesi storica, le scritte allucinate delle «brigate giallorosse» o dei «commandos biancazzurri» si sovrappongono disordinatamente a quelle delle bande fasciste o a qualche isolato simbolo «rosso»; a formare un caotico universo grafico, indecifrabile nella sua aggressiva spontaneità, campeggiante sopra le lucide superfici iscritte dalla retorica epigrafica del fascismo, sulle statue e sulle lapidi e sui mosaici creati dai suoi artisti, retori e poeti. Due sovrapposti percorsi di scrittura «esposta», l’uno creato da un potere insieme ottuso, ridicolo e classista, l’altro da masse di giovanissimi cittadini «di serie B», deculturati e disperati: due percorsi fra i quali, come fra due poli opposti e lontanissimi, è racchiusa, in un lungo arco, la tragedia di una democrazia, come la nostra, mai realizzata e perciò crudelmente imperfetta.

Da La scrittura. Ideologia e rappresentazione di Armando Petrucci.
In alto, Scritte murali nel centro di Brescia negli anni Settanta – http://www.fondazionemicheletti.eu

 

Armando Petrucci

Armando Petrucci (Roma, 1932 – Pisa, 2018), storico dello scrivere e del leggere, del libro e del documento è stato tra i maggiori intellettuali italiani. Ha insegnato alla Sapienza e alla Scuola Normale Superiore di Pisa.