In Il trono oscuro. Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo, Andrea Venanzoni ci invita a pensare lo sviluppo tecnico come un antico incantesimo. Sul regno del progresso troneggia un idolo oscuro. I maghi sono tra noi. Politici, imprenditori, amministratori delle più grandi aziende del mondo fanno segretamente ricorso alla potenza degli incantesimi e delle forze esoteriche. Alla fine di questo libro la Silicon Valley non ci apparirà più soltanto come un luogo di avanguardia tecnologica, innovazione e successo, ma anche come una terra di maghi, oscuri incantesimi, santuari segreti e rituali pagani celebrati nel deserto.

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Il corpo steso al suolo in una posizione plastica rimanda all’idea di una meditazione Yoga. L’espressione del volto quasi trasfigurata, alle prese con una sonnolenta epifania, mentre attorno, in una strettissima feritoia a metà tra loculo abitativo e postazione di lavoro, un indescrivibile caos nutrito di scatoloni, fogli, un lettino da campeggio. Alle spalle, poco sopra e ben infissa sulla parete, una lavagnetta intarsiata da esoteriche formule logico-filosofiche tutte connesse le une con le altre, un groviglio inestricabile di concetti e di associazioni teoriche e mentali chiare solo all’uomo steso in terra.

È Anjan Katta, una delle menti più brillanti della Silicon Valley, laureato alla Stanford University e da tempo ormai impiegato nella Valle del Silicio. Ripreso dal fotografo Ramak Fazel, nel suo monumentale Silicon Valley – No_Code Life, un viaggio fotografico nelle viscere di questa lingua di terra californiana divenuta epicentro della innovazione tecnologica nel mondo.

In un’altra foto contenuta nel volume si vede una enorme statua della Madonna, posticcia e kitsch, che non ha nulla di sacro. Svetta tra una siepe curatissima, di un verde smeraldino quasi finto, e cinta da cespugli di fiori, mentre alcuni fedeli sono inginocchiati ai suoi piedi, intenti a pregare.

Alle spalle della gigantesca Madonna, la sagoma della sede della McAfee, azienda specializzata in antivirus il cui fondatore, John McAfee, ha una biografia che non sfigurerebbe in un romanzo cyberpunk e che rappresenta, nella sua carne, nelle sue ossessioni, nel suo radicalismo innovativo e anche esoterico, la apparente, ma infondata, negazione di quella santità plastificata che invece fa di lui un perfetto Santo gnostico dell’eccesso e della conoscenza libera. La zona circostante la statua è utilizzata, ventiquattro ore su ventiquattro, per pregare, meditare, cercare una connessione con la divinità. Qualunque questa divinità sia.

E questa è forse la più esatta e precisa descrizione possibile di questo autentico non-luogo convenzionalmente situato nel cuore della California, il cui nome venne coniato nel 1972 dal giornalista Don C. Hoefler e che costituisce la capitale psicogeografica della innovazione e della sperimentazione nel campo Ict. Si stima che siano oltre 250.000 le persone impiegate nel campo delle tecnologie informatiche e della comunicazione nella Silicon Valley, in un panorama a metà tra il desertico e il fantascientifico, punteggiato di grattacieli, ville a schiera, pueblos, cactus e lo sciabordio perenne del mare.

Esistono due mappe della Silicon Valley, come mostra il volume Silicon Valley Tour edito da Wired: una fisica e geografica, grosso modo corrispondente alla Contea di Santa Clara, e l’altra, quasi sorta di trasposizione in negativo e notturna della prima, puramente virtuale. Nella mappa geografica, troviamo San Carlos, Redwood, Cupertino, Menlo Park, Mountain View, Palo Alto, cittadine e agglomerati bituminosi coi loro carichi antropici, la loro consistenza sociologica e storica.

Nella mappa virtuale, al posto delle cittadine e sovrapposti a queste, rinveniamo Oracle, Electronics Art, LinkedIn, Facebook, Apple, YouTube, Microsoft, Mozilla, i marchi-sigilli del mondo magico dell’alta tecnologia.

L’espansione della replica strutturale dello Stato totale magico, già sperimentato nella connessione tra logica pubblica e stimolo al superamento dei limiti grazie alla tecnica, massificazione mascherata da individualismo e determinazione di effetti senza causa per fini di consolidamento del potere. L’impero magico del digitale in marcia. Sgomberiamo infatti il campo dagli equivoci sul presunto pensiero libertarian individualista della Valley e sul suo rifuggire lo Stato.

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Margaret O’Mara pone in luce la strettissima connessione tra potere pubblico nell’alveo della Guerra Fredda e la nascita della Valley, come concetto prima ancora che come luogo fisico e industriale. La sperimentazione dell’Università di Stanford, le prime reti, i transistor, i microchip, di silicio appunto, non furono solo frutto di una epopea scatenata di hippie e di guru da garage, ma furono piuttosto una commistione di logica bellica, potere pubblico sotto forma di finanziamenti, ricerca accademica, cultura lisergica e psichedelica, magia e interessi controculturali ed esoterici.

Una delle miscele più esplosive che si possano immaginare, localizzata in una delle territorializzazioni più magicamente simboliche che si possano concepire.

Ultimo lembo della Frontiera, di quello spazio che ha segnato la costruzione della identità americana in una oscillazione tra spirito della conquista, della avanzata, della ricerca e finitudine territoriale che avrebbe segnato il concetto di limite da superare.

Ricorda il giurista A.C. Yen come gli statunitensi da sempre guardino con attesa messianica alla necessità di una nuova frontiera come grande opportunità; non si tratta solo di un malinconico rimpianto per una epoca percepita come fondamentale per la costruzione della identità americana e che gli statunitensi contemporanei non hanno vissuto direttamente e che possono solo immaginare attraverso il filtro della narrazione pop di film e libri.

Essa è invece la manifestazione palese di voler dare un contributo a re-indirizzare la identità collettiva americana. In questo senso, Internet, a cui la metafora della frontiera è da sempre collegata, e in generale i nuovi ambiti della tecnologia avanzata come i sistemi algoritmici, le intelligenze artificiali, l’Internet of Things, la robotica, si rendono una nuova epopea nutrita e intessuta di opportunità.

La Frontiera è però essa stessa uno spazio simbolico magico. “La trasformazione sta avvenendo in America” scrisse Madame Blavatsky parlando della Frontiera americana, quello spazio sospeso a metà tra metafisica e spirito di conquista, tra orizzonte della certezza e perenne divenire della possibilità. Analogamente a dirsi per la dottrina del Destino Manifesto, strutturalmente messianica e che avrebbe informato l’aura politica dell’espansionismo americano.

La dottrina, risalente alla penna del giornalista John O’Sullivan, alle prese nel 1845 con la narrazione delle gesta di trecentomila settlers che sciamavano in California e che vedeva negli Stati Uniti l’espressione di un inarrestabile moto di espansione territoriale e culturale verso Occidente, forma perfezionata di conquista, aggregazione e ricerca, sarebbe divenuta un topos irrinunciabile della volontà di espansione degli Usa. Vero è che in quella stessa epopea della spinta verso occidente era poi giunto il duro bagno di realtà della finitezza spaziale della terra: il confine estremo, segnato dall’oceano, aveva determinato la fine della corsa, ingenerando a catena una reazione emotiva che avrebbe innescato nuovi meccanismi di espansionismo e nuovi problemi di ordine sociale, come la schiavitù.

Un imperialismo immateriale, attivato attraverso la tecnologia, l’influenza culturale, la colonizzazione politica ed economica, persino l’emigrazione: in questi ultimi casi, l’analista politico Parag Khanna ha parlato di una nuova dottrina del Destino Manifesto.

In questo senso, la vocazione funzionale e irrinunciabile del pensiero “californiano”, nella sua stordente commistione di esoterismo, tecnologia, controcultura, storia reale e storia pop, è quella alla espansione reticolare, inarrestabile, in ogni spazio, fisico o metafisico, del mondo.

Non può quindi sorprendere il fatto che la Silicon Valley si sia storicamente situata in California: il sociologo Manuel Castells, in La nascita della società in rete, e J.A. English-Lueck, in Cultures@SiliconValley, condividono, sia pur con sfumature diversificate di accenti, l’idea che l’area suburbana di San Francisco costituisse, con gli intrecci che abbiamo già esplorato, il prototipo strutturale di una società della informazione. Anche quello della edificazione della società digitale partendo dai dintorni di San Francisco era, a modo suo, un destino manifesto.

Andrea Venanzoni

Andrea Venanzoni è costituzionalista e Segretario generale del Forum nazionale delle professioni. Autore di saggi apparsi sulle più rilevanti riviste di diritto pubblico e diritto delle nuove tecnologie, scrive su Il Sole 24Ore, Il Foglio e sulla rivista della Fondazione Leonardo, Civiltà delle Macchine. Collabora con le cattedre di Diritto costituzionale e di Diritto delle tecnologie dell’informazione, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre.