Se la mela offerta a Biancaneve avesse avuto una forma irregolare, un colore meno intenso, una screziatura, anche piccola, insomma una qualche imperfezione, le cose sarebbero andate diversamente per la celebre principessa? La strega avrebbe accarezzato il sapore della vendetta? Come le favole insegnano, l’assioma “bello e buono” può essere ingannevole e pericoloso.

Oggi più che mai il nostro quotidiano è caratterizzato da una mentalità volta al perfezionismo che si riversa in campo estetico, morale e sociale. Questione tanto urgente quanto annosa, se si considera che il tema della ricerca della perfezione è stato trattato sin dai tempi di Marco Aurelio, il quale nel suo Diario di Meditazioni incitava gli individui a essere soddisfatti anche dei loro piccoli progressi, anche se non corrispondenti all’ideale di perfezione presente nel loro immaginario.

Il bello e le nostre scelte di consumo

A distanza di oltre duemila anni la distanza che ci separa da questo ideale sembra destinata ad allungarsi. Soprattutto per quanto concerne il nostro aspetto estetico, basti pensare al film La morte ti fa bella in cui Goldie Hawn e Meryl Streep si sfidano a suon di trattamenti chirurgici nella speranza di aderire a tutti i costi a un ideale di bellezza, di incarnare un modello di perfezione. Tutt’altro che naturale.

La ricerca spasmodica della perfezione, di un ideale estetico da raggiungere ed esibire si riflette anche e soprattutto nelle nostre scelte di consumo, non solo, come si sarebbe portati a pensare, per quanto riguarda i prodotti non indispensabili e di lusso, ma anche quelli che accompagnano la nostra vita quotidiana. E dove non è possibile manipolare i prodotti veri e propri per migliorarne le caratteristiche estetiche, si agisce sui loro involucri, i package, ricorrendo a una retorica tutt’altro che banale o innocua in cui materiali, colori, forme e parole nell’insieme delle loro combinazioni magnificano le qualità della sostanza che proteggono e al contempo esibiscono, catturando e rassicurando il consumatore.

Questo perché i prodotti esteticamente belli, perfetti, non solo ci piacciono di più, ma crediamo siano anche qualitativamente migliori.

Le barriere del bello tra frutta e verdura

Queste credenze si ripercuotono anche e soprattutto in ambito alimentare, dove frutta e verdura che non possono avvalersi di package per migliorare le loro caratteristiche estrinseche vengono scelte solo se perfette dal punto di vista estetico, quindi solo se “belle”. Diverse ricerche in tal senso hanno dimostrato che frutta e verdura che deviano da quello che è lo standard di bellezza e perfezione che abbiamo nel nostro immaginario vengono scartate perché percepite come qualitativamente inferiori, poco sicure o addirittura disgustose. L’avversione verso frutta e verdura imperfetta sembra essere così pronunciata che il semplice immaginare di consumare prodotti percepiti come brutti o deformi porta a una negativa percezione del sé, come se l’imperfezione del prodotto venisse trasmessa alla persona. Insomma, se siamo quello che mangiamo niente di meno della perfezione!

Questo i rivenditori lo sanno bene, motivo per cui il più delle volte frutta e verdura dalla forma o dal colore irregolare, pur non avendo in realtà nessun deficit qualitativo, vengono scartate a priori e non presentate al consumatore solo perché presentano una forma atipica. Questa mancata immissione nel mercato implica, nella pratica, che frutta e verdura “brutte ma buone” vengano scartate, contribuendo in modo sostanziale a un inutile spreco alimentare che solo in Italia si stima essere pari a oltre 4 milioni di tonnellate di cibo.

Tale dato è sicuramente allarmante non solo in virtù delle circa 1,9 milioni di famiglie in condizione di povertà assoluta registrate dall’Istat nel suo Report sulla povertà 2021, ma anche in virtù dell’attuale situazione climatica e ambientale, dal momento che lo spreco di cibo è responsabile di quasi 5 miliardi di tonnellate di gas serra emessi nell’atmosfera (si veda L’impatto dello spreco alimentare sull’ambiente).

Per fare fronte a questo scenario drammatico, sono stati proposti diversi rimedi per promuovere il consumo di frutta e verdura imperfetta, come le campagne di sensibilizzazione, o l’antropomorfizzazione dei prodotti, così da renderli più empatici agli occhi del consumatore, o ancora, più banalmente, l’applicazione di consistenti scontistiche per incentivarne l’acquisto.

Nonostante ciò, la frutta e la verdura che si discostano dai canoni estetici di riferimento continuano a essere assenti negli scaffali dei supermercati, e quindi sono destinate a essere scartate e dunque sprecate. Perché?

Prototipicalità e rappresentanza di categoria

Il vero problema relativo alla scarsa accettazione dei prodotti imperfetti risiede nel fenomeno della cosiddetta prototipicalità, ovvero la misura in cui un oggetto è rappresentativo di una particolare categoria di riferimento. Secondo questo fenomeno psicologico, gli individui tendono a preferire prodotti che appartengono al prototipo della categoria di riferimento del prodotto stesso, e nel momento in cui i prodotti si discostano da tale prototipo, vengono scartati.

Per capire meglio il concetto di prototipicalità pensiamo a un continuum immaginario, che inizia con l’esemplare più rappresentativo che afferisce a una certa categoria di prodotto, per poi passare a esemplari completamente atipici e terminare con esemplari che non appartengono affatto alla categoria di riferimento. Per esempio, la Coca-Cola è un prototipo esemplare della sua categoria di riferimento, infatti quando pensiamo alla categoria “cola” la Coca-Cola è il primo esempio che ci viene in mente. Allo stesso modo, quando si pensa alla categoria “frutta”, è molto probabile che pensiamo a una mela con caratteristiche distintive in termini di forma e colore (Biancaneve, attenzione alla mela rossa scarlatta!), per cui gli esemplari che si discostano da queste caratteristiche vengono giudicati atipici e pertanto scartati.

Partendo da tali presupposti, in una nostra ricerca abbiamo identificato un rimedio ulteriore contro lo spreco di frutta e verdura imperfetta, una modalità in grado di superare la barriera alla base del loro rifiuto: la prototipicalità (A. M. Barone, C. Donato, S. Romani, “Physically processing imperfect produce: The impact of prototypicality”, Journal of Consumer Behaviour, 2021, 20(6), pp. 1547-1561). L’idea alla base è molto semplice: se il problema di questi prodotti è che non aderiscono al nostro ideale di prodotto, allora spostiamo tale ideale!

Rappresentazione fisica e ideale

Lo spostamento implica il cambio di categoria di riferimento, in modo tale che frutta e verdura imperfetta si possano riferire a una nuova categoria per cui possa esserci congruenza tra presentazione fisica e ideale nel nostro immaginario. Da qui, la proposta di trasformare tali prodotti in succhi, barrette, caramelle, zuppe eccetera cosicché il consumatore percepisca nel prodotto trasformato – realizzato grazie a ortaggi dalla forma e/o dal colore irregolare – la nuova categoria di riferimento. Tre studi sperimentali hanno confermato che la trasformazione in prodotti finiti di frutta e verdura imperfetta è una modalità efficace per superare la barriera psicologica alla base del rifiuto di tali prodotti, così da promuoverne il consumo ed evitarne lo spreco.

In particolare, i risultati hanno mostrato che i soggetti sono disposti a scegliere e acquistare frutta e verdura imperfetta fisicamente trasformata in un prodotto finito, anziché la stessa frutta e verdura imperfetta nello stato originale. Quello che è ancora più importante è che i consumatori sono disposti a pagare lo stesso prezzo per i prodotti trasformati indipendentemente dal fatto che siano stati realizzati utilizzando prodotti perfetti o imperfetti. Si tratta di un punto estremamente rilevante, in quanto non solo mostra l’efficacia della trasformazione fisica per la diffusione di tali prodotti, ma anche la sua convenienza economica per i produttori e rivenditori.

L’auspicio è quindi che le aziende operanti nel settore alimentare in virtù della posizione dominante che occupano nel sistema globale, possano utilizzare questa strategia per dare un contributo alla riduzione dello spreco alimentare.

Scoprire frutta e verdura imperfetta negli scaffali dei supermercati sarebbe una vittoria, per tutti noi.

Carmela Donato

Ricercatore di Marketing ed economia e gestione delle imprese all’Università di Chieti-Pescara e Adjunct Professor di Marketing alla Luiss.