Proponiamo un estratto da Carino! Il potere inquietante delle cose adorabili di Simon May. Secondo il filosofo Simon May, tuttavia, le cose che troviamo adorabili nascondono anche un altro, inquietante potere. Il suo saggio rappresenta una teoria filosofica del tempo presente e, allo stesso tempo, una storia culturale e letteraria della realtà che viviamo ogni giorno.

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Per la maggior parte del tempo preferiamo raccoglierci all’estremità tenera dello spettro e stravediamo per gli oggetti convenzionalmente ritenuti cute. La cuteness perturbante, che emerge gradualmente sotto i nostri occhi mentre percorriamo questo spettro allontanandoci dalla tenerezza per trovare la sua massima espressione all’estremità opposta, ci innervosisce, pur essendo intrigante. E allora ci allontaniamo da essa per dirigerci verso le sfumature più semplici di ciò che è infantile, quelle stesse qualità identificate da Konrad Lorenz:

– una testa grande in rapporto al corpo;
– una fronte enorme, sporgente;
– occhi grandi, posti nella parte bassa della testa in confronto agli adulti (negli adulti umani, gli occhi sono posizionati circa a metà della testa; nei neonati, si tro- vano circa a due terzi verso il basso);
– guance paffute e rotonde;
– una conformazione del corpo paffuta e rotonda;
– estremità corte e grassocce;
– superfici corporee morbide e piacevoli al tatto;
– movimenti deboli e goffi.

Il biologo evoluzionista Stephen Jay Gould identifica una bizzarra traiettoria verso questo infantilismo nello sviluppo di Topolino nel mezzo secolo tra la fine degli anni Venti e la fine dei Settanta.

Quando pensiamo a Topolino, visualizziamo l’incarnazione di molte di queste caratteristiche infantili e, in sintonia con questa conformazione anatomica, esso ci appare come una creaturina dall’indole dolce e schietta che grazie all’audacia e alla fiducia in sé stessa riesce ad avere la meglio in un mondo pieno di insidie e pericoli.

Ma non è stato sempre così. Inizialmente Topolino aveva la testa, la fronte e gli occhi più da adulto, ovvero, più proporzionati rispetto al resto del corpo; le orecchie erano più in avanti e le gambe, le braccia e il naso più dritti e appuntiti. Sotto il profilo comportamentale, era un rabattino del tutto privo di principi, “un tipo turbolento e vagamente sadico”. Camminava impettito anziché dondolando e flirtava con il pericolo invece di evitarlo. Lungi dall’essere un santarellino che si precipita a salvare i più vulnerabili, rispetta i suoi pari e caccia via i malintenzionati, aggrediva i più deboli, li toccava nelle parti intime e non era scevro da cattive intenzioni. Nella sua prima performance, Steamboat Willie (1928), lui e Minnie:

[…] picchiano, strizzano e torcono gli animali presenti sulla nave per produrre un eccezionale coro sulle note di Turkey in the straw. L’oca diventa una tromba nella stretta delle loro braccia, la coda della capra viene usata per strimpellare, i capezzoli del maiale vengono pizzicati a ritmo, i denti della mucca vengono percossi come uno xilofono e le sue mammelle tra- sformate in una cornamusa.

Nel giro di poco più di un decennio, e subito dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’odioso Topolino di Steamboat Willie, dal tizio che pizzica i capezzoli delle scrofe, si trasforma in un topo molto più disciplinato (nel cartone Fantasia del 1940, nei panni dell’apprendista stregone, viene punito per insubordinazione). Nel 1953 è ormai considerato un placido pescatore, incapace o recalcitrante persino a sottomettere un fastidioso mollusco, e poco dopo finisce per diventare il Topolino che conosciamo oggi: il benevolo abitante e padrone di casa di un regno magico.

Perché i creatori di Topolino decisero di indirizzare la sua evoluzione proprio sulla traiettoria opposta a quella di un normale sviluppo, in altre parole dirigendola all’indietro, verso l’infanzia? Perché, a quanto si racconta, Walt Disney ordinò ai suoi animatori di cambiare tattica e “farlo carino!”?

Si potrebbe pensare che Topolino doveva diventare rispettabile perché era ormai un personaggio celebre in tutto il Paese e un grande popolo timorato di Dio non poteva innamorarsi di un sadico che succhia dalle mammelle di una mucca ed esporre i propri figli alla sua influenza. Doveva sottoporsi a una trasformazione morale e incarnare l’etica anglo-protestante della nazione, non prenderla in giro. Doveva essere sano, irreprensibile, virtuoso, affidabile. Doveva essere un topo di parola.

Tuttavia, ipotizza Gould, potrebbe esserci un altro motivo per la “progressiva infantilizzazione” di Topolino. Forse i suoi creatori scoprirono che era più redditizio spingerlo a far appello a qualcosa di ancor più profondo della moralità nazionale: l’istinto umano di prendersi cura della prole. Infatti, come aveva mostrato Lorenz, questo istinto poteva risvegliarsi grazie a una lunga serie di oggetti graziosi, viventi o meno, che imitano le caratteristiche infantili. Le forme acquisite da Topolino una volta abbandonato il suo comportamento offensivo – una testa più bulbosa, occhi più grandi e una volta cranica più grossa – erano proprio il tipo di segnali che Lorenz aveva identificato come “meccanismi scatenanti innati” della reazione di cura da parte degli umani nei confronti dei loro piccoli.

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Ma è davvero questa la ragione dell’evoluzione al contrario di Topolino proprio in quel momento storico, poco dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale? Né la teoria dell’integrità morale né l’ipotesi evoluzionistica di Gould colgono dei punti lampanti: l’etica americana non era cambiata nei cinquant’anni trascorsi dalla creazione di Topolino. Né l’eterno istinto degli esseri umani a prendersi cura della prole era diventato improvvisamente più potente o consapevole. Qualcos’altro – qualcosa di davvero nuovo – doveva aver suscitato la reazione, consapevole o meno, dell’astuto Walt Disney.

Di nuovo c’erano gli orrori senza pari delle due guerre mondiali o piuttosto il rifiuto della popolazione di tollerare ancora gli orrori della guerra: la determinazione a creare finalmente un mondo libero da letali inimicizie tra le nazioni, un mondo sicuro per gli istinti più nobili dell’umanità.

La Prima guerra mondiale, per quanto terribile, non aveva ancora generato questa nuova volontà. Fu soltanto all’indomani della Seconda che gli americani, gli europei e, dato fondamentale, i giapponesi furono colti dalla repulsione nei confronti della violenza e della crudeltà, dal desiderio irrefrenabile di un mondo di innocenza, dolcezza e collaborazione, in cui le sofferenze più atroci sarebbero state abolite e l’aggressività umana, infine, disarmata.

Il Giappone e la maggior parte dell’Europa occidentale rinnegarono la politica di potenza rivolta all’estero e crearono Stati di diritto in patria. L’America emerse dalla guerra come la nazione più forte al mondo e forse in tutta la storia dell’umanità, ma neppure lei era immune al desiderio di collaborazione pacifica, di sicurezza e ordine ottenuti non attraverso le minacce ma proprio in virtù della loro assenza. In effetti, rivestì un ruolo fondamentale nella creazione, nello sviluppo e nell’incoraggiamento delle grandi istituzioni di cooperazione internazionale che sorsero sulla scia del conflitto: il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Comunità europea (poi Unione europea), le Nazioni unite, che per molti versi erano ispirate dagli stessi sentimenti che avevano dato vita al nuovo Topolino, più addomesticato.

La cuteness potrebbe sembrare molto distante dall’antiquata anonimità dell’FMI, dell’ONU o dell’UE; tuttavia, al pari di queste istituzioni, il culto del Cute era espressione della speranza dominante dell’epoca: che potesse prevalere tutto quello che di pacifico, unificante, collaborativo e accogliente c’era nella natura umana; che la potenza non fosse ritenuta più necessariamente giusta; che era possibile celebrare gli istinti di protezione reciproca, di cura e di altruismo; che la comunità umana potesse raggiungere una nuova età dell’oro; che tra nazioni che condividono interessi e valori di base si potesse davvero realizzare la visione della “pace perpetua”, che aveva trovato la sua massima espressione nel filosofo illuminista del Settecento Immanuel Kant.

Come quegli enormi apparati burocratici, il culto del Cute fu catalizzato in gran parte dalla paura della minaccia sempre presente della violenza nella rivalità tra nazioni e tra individui. E quella paura rivelò l’altra faccia del Cute: la consapevolezza dell’oscurità, dell’apprensione e della vulnerabilità. Oscuro, apprensivo, vulnerabile e tuttavia – fedele all’essenza del Cute – provocatorio, flessibile e spensierato.

Da Carino! Il potere inquietante delle cose adorabili di Simon May. In alto, foto di Nelly Antoniadou – Unsplash 

Simon May

Simon May insegna filosofia al King’s College di Londra. I suoi lavori sono stati pubblicati in oltre dieci lingue. Carino! Il potere inquietante delle cose adorabili è il suo primo libro tradotto in italiano.