UIQ non è soltanto il film di fantascienza mai realizzato di uno dei più rivoluzionari pensatori contemporanei, Félix Guattari, è anche un’anticipazione visionaria dell’infosfera e della sua ubiquità molecolare, dall’intelligenza artificiale alla soggettivazione digitale, dalla cattura granulare del desiderio alla perdita della finitude. Un manifesto per un cinema che manca: il cinema dell’infra-quark. Durante gli anni Ottanta, Félix Guattari progetta di realizzare un film di fantascienza, una straordinaria sintesi del suo lavoro di psicoterapeuta, del suo impegno militante e della sua passione per le radio libere. Nasce così Un amour d’UIQ che racconta l’incontro tra un gruppo di squatter, “naufraghi di una nuova catastrofe cosmica”, e una particella infinitamente piccola proveniente da un ceppo mutante di cianobatteri, l’Universo infra-quark. La scoperta avrà degli effetti irriversibili su tutto il pianeta. Sospesa tra cyberpunk e cinema sperimentale, la sceneggiatura di Guattari immagina nuovi orizzonti per una fantascienza politica e irriverente, poetica e allo stesso tempo spettacolare.

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Al principio Uiq è solo un debole segnale presente in un campione di cianobatteri che il cronobiologo Axel sottrae dal suo laboratorio di Bruxelles. Ricercato per atti di “terrorismo” (le interferenze causate dai segnali di Uiq vengono immediatamente bollate come tali), Axel fugge a Francoforte con l’aiuto di un giornalista americano. La prima scena del film mostra un Piper Malibu che atterra su un campo ricoperto di brina. Il paesaggio è glaciale, esangue, immerso in una strana inconsistenza. Siamo nel pieno degli anni Ottanta, in quelli che Guattari chiama gli anni di inverno.

Sono tra coloro che hanno vissuto gli anni Sessanta come una primavera che prometteva di essere eterna: non c’è da stupirsi dunque se trovo così difficile abituarmi a questo lungo inverno degli anni Ottanta. La storia sa essere crudele, ignorando completamente speranze e illusioni. Dunque è meglio cercare di tirare avanti e non contare troppo sul ritorno naturale delle stagioni. Soprattutto quando non c’è alcuna garanzia che saremo risparmiati da un altro autunno, o da un inverno ancora più gelido del presente. Ma una parte di me continua a credere che clandestinamente, in qualche luogo, si stiano facendo dei preparativi silenziosi per organizzare incontri con nuove ondate di generosità e immaginazione collettiva, che esista una volontà senza precedenti degli oppressi di fuggire, fermare la politica mortale e mortifera dei grandi poteri e riorientare le attività economiche e sociali verso obiettivi meno assurdi, più umani.

Questi preparativi clandestini ricordano molto da vicino il tipo di cinema che Guattari avrebbe voluto realizzare, un’avventura molecolare e collettiva che, pur situandosi nella grande depressione provocata dalla falsa euforia edonista degli anni di inverno, avrebbe dato origine a un vero e proprio laboratorio creativo. Sebbene spesso il repertorio delle immagini di Uiq si rifaccia a film distopici e fantascientifici del periodo, come la sequenza del nightclub in cui Axel incontra la DJ punk Janice che gli propone di rifugiarsi nello squat dove abita, Guattari desidera lavorare in modo nuovo, utilizzando i gesti e gli oggetti come materia espressiva per creare un laboratorio di micropolitica dell’immagine. Un esempio magistrale è il flipper attorno a cui convergono molti dei personaggi, che agisce come un organismo vivente, una macchina animistica capace di coreografare i corpi e lo spazio e scatenare una danza delle intensità.

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In queste prime scene del nightclub compaiono già dei segnali incipienti di Uiq ma è nel laboratorio dello squat che le relazioni cyborg-affettive prenderanno pienamente forma attraverso i dispositivi tentacolari che permettono di ristabilire il contatto e tradurre le interferenze in suoni e in immagini. Con la proliferazione di schermi, tastiere, microscopi, computer e cavi di ogni tipo l’edificio stesso muta d’aspetto, rassomigliando sempre più a una medusa gigante da cui emanano una miriade di microritornelli che, come la petite phrase di Vinteuil, finiranno per espandersi e contaminare tutto l’ambiente circostante, un enorme organismo cibernetico, ibrido di macchina e organismo che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione.

Gran parte dell’inventività di Un amour d’UIQ sta nel fatto che Guattari vuole utilizzare il set come terreno di sperimentazione della trasversalità, un metodo di ricerca che combina schizoanalisi, militanza politica, teoria filosofica, pratiche estetiche e micropolitica di gruppo. Con i suoi spazi singolari, i suoi cortili, la sua terrazza piena di piante e lenzuola stese ad asciugare, lo squat diventa un milieu eterogeneo e idioritmico capace di accogliere nuove coreografie dei corpi, della voce e del linguaggio che potrebbe far pensare all’energia psicofisica della clinique La Borde. Ma la sfida più ambiziosa è trovare il modo di rappresentare una soggettività macchinica che, non avendo una forma stabile, può unicamente manifestarsi attraverso ciò che contamina: gli schermi televisivi, le traiettorie aeree, il volo degli uccelli, gli specchi d’acqua e il movimento della folla, fino a infiltrarsi nella mente e nel corpo degli umani.

Le sequenze d’azione sono tra i momenti più spettacolari e sovversivi del film, come se Uiq fosse riuscito a usurpare il ruolo del regista diventando al tempo stesso artefice e oggetto delle riprese. La scena rocambolesca del Club Med è un classico esempio, quando Uiq rischia di provocare un disastro aereo su una spiaggia affollata di turisti che rimangono sommersi dalla sabbia al suono di belati di capre e canti di balene trasmessi da radio a transistor. Il tutto perché Uiq, ancora allo stato microbatterico, non riesce a ripetere una sequenza che Manou tenta di insegnargli. Si potrebbe immaginare la scena come una sorta di Incontri ravvicinati stile lo-fi. Concepita inizialmente come un gioco, tra meraviglia e crudeltà infantile, la sequenza si trasforma gradualmente in un ibrido di commedia surreale e sospensione poetica, come se una scena dell’Infanzia di Ivan si catapultasse sul set delle Vacanze di Monsieur Hulot.

Tratto dall’Introduzione di Silvia Maglioni e Graeme Thomson

Silvia Maglioni e Graeme Thomson

Cineasti e artisti transdisciplinari sono autori, fra gli altri, dei lungometraggi Facs of Life, In Search of UIQ e Common Birds. Dalla scoperta della sceneggiatura di UIQ negli archivi dell’IMEC, hanno creato nel corso degli anni una serie di manifestazioni paralelle dell’Universo infra-quark che riflettono pratiche estetico-politiche quali l’ecosofia, le visioni collettive, l’inoperosità, le narrazioni speculative e il cinema potenziale.