Oggi le attività più significative si svolgono nelle città e, tuttavia, noi continuiamo a vedere soltanto gli Stati come attori globali. Le città sono il centro dell’economia, sono i luoghi in cui vive la maggior parte delle persone. Riforme politiche, innovazione sociale, proteste e rivoluzioni hanno luogo nelle città. Le città sono la memoria del nostro passato e la culla del nostro futuro. Succede molto nelle città, ma succede anche molto tra le città attraverso reti, partenariati e iniziative comuni. Le città sono orientate sia all’interno sia all’esterno, attive in una dinamica a più livelli in cui le strategie locali e internazionali devono essere integrate e non possono essere giocate singolarmente. Detto in modo ancora più strigato: il luogo nel quale si verificano le azioni più importanti per la nostra vita, è senza dubbio la città.
C’è bisogno di cambiare la nostra mappa mentale. La realtà sta cambiando rapidamente, e siamo ancora ancorati ad una prospettiva Stato-centrica degli affari internazionali. Con la pace di Vestfalia del 1648, le città sono state escluse dalla mappa mentale dei suoi abitanti, in un processo lento ma incontrovertibile, dopo che erano da sempre state identificate come il centro dell’azione politica ed economica. Con il XVII secolo lo Stato diventa accentrato, sposta il baricentro, decentra tutto quello che gli sta intorno. Tuttavia, oggi, nel mondo, le città stanno ritornando sul palcoscenico internazionale, ma spesso non ce ne accorgiamo perché continuiamo a pensare con i canoni classici e tradizionali. Una mappa mentale, del resto, più facile da contenere e memorizzare: infatti, al momento, è composta da circa duecento pezzi, che equivalgono agli Stati membri delle Nazioni Unite, ma è bene essere consapevoli del fatto che non sono di certo gli unici pezzi da tenere a mente per comprendere il mondo e la modernità in cui viviamo oggi. A ben vedere, avremmo bisogno di almeno quattromila pezzi, ovvero il numero approssimativo delle città con più di 50.000 abitanti che oggi esistono al mondo.
E poi, ci sono le sfide globali, le crisi di governance che pongono nuovi quesiti e richiedono altrettante innovative soluzioni. L’inquinamento, il cambiamento climatico, le pandemie, le carestie, le migrazioni, sono tutti fenomeni intrecciati, e che richiedono una risposta comune. Ma le soluzioni plausibili sembrano essere ostaggio degli interessi contrapposti dei singoli stati, secondi cui la nostra mappatura del mondo dovrebbe essere suddivisa. In altre parole, ci troviamo nel mondo del ”G-Zero” così come descritto dal politologo Ian Bremmer, un mondo nel quale nessuna potenza può (o vuole) dettare da sola l’agenda globale. Il tutto, con un paradosso e un corollario. Il paradosso è che, mentre le ripercussioni di queste sfide si fanno sentire con sempre maggiore forza sulla vita quotidiana dei cittadini, la richiesta di una crescente protezione da questi rivolta ai governi centrali si scontra con la realtà di sovranità statali erose da un diffuso deficit di capacità di dare risposte adeguate a tematiche troppo grandi per essere gestite a livello nazionale. Il conseguente corollario, invece, riguarda il ruolo sempre più importante che, in questo contesto, giocano comunità locali e, tra queste, le città in particolare. Queste appaiono, infatti, sempre più al centro sia dei problemi che delle soluzioni dei grandi temi globali del nostro tempo e hanno dimostrato in varie occasioni una straordinaria resilienza, oltre ad una capacità di reazione alle emergenze perfino superiore agli stessi governi nazionali.