Quella che vi proponiamo di seguito è una recensione al libro di Andrea Prencipe e Massimo Sideri ”Il visconte cibernetico”, uscito con la nostra casa editrice lo scorso dicembre 2023. La penna è quella di
Andrea Prencipe e Massimo Sideri, ”Il visconte cibernetico” – recensione di Irma Loredana Galgano
«Nell’universo infinito della letteratura s’aprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime e antichissime, stili e forme che possono cambiare la nostra immagine del mondo… ma se la letteratura non basta ad assicurarmi che sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissolta.»
(I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988)
Calvino ha descritto come indispensabile l’integrazione tra letteratura e scienza per raggiungere la completezza necessaria per l’interpretazione del presente. Con Il visconte cibernetico gli autori mettono l’insegnamento di Calvino alla prova della tecnologia, in particolare dell’intelligenza artificiale e delle sue implicazioni. Per Maria Chiara Carrozza, che ha curato la prefazione, il libro rappresenta una guida essenziale per viaggiare nel tempo e, partendo dal passato, dal Metodo Calvino e dalle sue chiavi di lettura, aiuta a interrogarsi su quale possa essere il nostro ruolo nelle crisi che stiamo attraversando. Oggi viviamo un’epoca di grandi transizioni, in parte legate alle scoperte scientifiche e alla loro trasformazione in tecnologie dalla portata innovativa dirompente, come l’ingegneria genetica o l’intelligenza artificiale. Quest’ultima emula abilità cognitive un tempo ritenute esclusivamente umane, suscita interrogativi profondi e addirittura spaventa, secondo Carrozza, laddove non sia compresa e analizzata con competenza. D’altra parte, il rapporto stesso della specie umana con il pianeta sembra profondamente in crisi, non solo per le grandi diseguaglianze fra aree geografiche e sociali, ma anche per l’incombente cambiamento climatico che mette in discussione il modello di equilibrio sul quale finora si sono fondati il paradigma del capitalismo, la ricerca dell’efficienza, l’economia di sfruttamento e la comunicazione di un progresso infinito. I principi fondanti del Metodo Calvino, ovvero l’intreccio fra opposte tendenze e il pensiero divergente, sono le basi per affrontare il cambio di paradigma delineato ne Il visconte cibernetico, con una piena fiducia nelle capacità umane di elaborare creativamente le infinite visioni dei futuri possibili. Prencipe e Sideri sottolineano come siamo diventati una società sbilanciata sulla “cultura della risposta”. Nessuno mai come Calvino ha ragionato sul ruolo della scrittura e, dunque, sul rapporto indistricabile tra domanda e risposta e sulla relazione della scrittura con la tecnologia. Siamo diventati appendici delle macchine come ne Il cavaliere inesistente, allegoria dell’uomo schiavo dei processi formali e produttivi, prigioniero a tal punto della sua armatura da esserne svuotato. Siamo appesi al flusso immateriale delle informazioni, a una memoria più che a una vera intelligenza artificiale. Poniamo domande. Attendiamo risposte. Ieri era Google o Wikipedia. Oggi è ChatGPT. E allora gli autori si domandano quale possa o debba essere davvero la più grande paura dell’uomo: demandare ogni risposta a presunte intelligenze o rischiare di perdere la capacità di formulare le domande giuste?
Il mistero delle lettere prime
Le macchine per comprendere hanno bisogno di categorizzare: ironia creatività buono cattivo bianco nero telefono aragosta. Ma cosa succede allorquando Salvador Dalì crea un telefono a forma di aragosta? Se la cultura è una semplice combinazione infinita di lettere, il mistero delle lettere prime, impenetrabile come i numeri primi, saranno la linea di difesa tra algoritmi probabilistici e la storia improbabile dei sapiens. Attributo geloso dell’umano, l’ars interrogandi, ovvero la capacità e la volontà di porsi delle domande, che è poi la base della ricerca scientifica, è la sfera in cui possiamo dispiegare al meglio la nostra creatività. In una società sempre più attratta dalle risposte semplici e dalle fake news e sempre più permeata dall’intelligenza artificiale, viene suggerito di preservare il potere e la responsabilità di decidere e pensare le domande più creative perché, se le risposte possono essere articolate mediante strumenti di intelligenza artificiale, le domande sono e resteranno pertinenza dell’essere umano. Per gli autori dunque il pensiero di Calvino si presenta come un antidoto a quella che può essere definita una “colonizzazione del futuro” da parte dell’accelerazione tecnologica e digitale. Colonizzazione che negli anni Cinquanta del Novecento era erroneamente prevista come imminente. I tempi ora sembrano davvero maturi, alla luce della repentina diffusione dell’IA generativa che può rendere il percorso formativo dei giovani anche demotivante e particolarmente frustrante. Perché imparare a scrivere se scriverà per noi ChatGPT? Perché esercitare la memoria se abbiamo un archivio infinito sempre con noi in tasca? Il cervello umano viene sempre più spesso equiparato a una Macchina di Turing, capace di elaborare una quantità enorme di dati e di trarre conclusioni a partire dall’utilizzazione degli algoritmi e del programma incorporato. Ma il cervello umano è altro. Innanzitutto è legato indissolubilmente al corpo che lo contiene e la deterritorializzazione imposta dalla digitalizzazione sta creando una vera e propria distanza fra l’uomo e il mondo, fra l’uomo e se stesso. L’eccesso di informazione codificata priva di esperienza diretta trasforma gradualmente il cervello in una lastra di gestione delle informazioni, ma si tratta di informazioni che non modellano il cervello perché non passano per il corpo. Scrivere a mano, per esempio, vuol dire impegnarsi in una pratica che territorializza quel che si sta pensando, mettendo in movimento sinapsi e reti neuronali, modificandone la quantità e la dimensione.
L’umano come segmento
La digitalizzazione del mondo, la sostituzione di qualunque riferimento al mondo, per passare a funzionare con modellazioni di esso, implica un importante mutamento qualitativo. Il ruolo degli umani diventa secondario anche nella circolazione ultrafluida dell’informazione. L’umano non è che un segmento di tale circolazione, un segmento di volta in volta sempre più destrutturato e fluido (M. Benasayag, Il cervello aumentato l’uomo diminuito, Erickson, Trento, 2016). Sebbene fosse nato con tutt’altri scopi, il protocollo HTTP, messo a punto da Tim Bernes-Lee e regalato al mondo dal Cern all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, aveva già involontariamente gettato le basi per la crisi della relazione tra fonte e informazione. Quelle che oggi vengono definite fake news online nascono proprio dalla possibilità di scollare informazioni e fonti ricombinandole senza rispettarne il legame genetico, un meccanismo di disinformazione che, sebbene il world wide web non abbia creato, ha tuttavia reso esponenziale e molto semplice da porre in essere (T. Rid, Misure attive. Storia segreta della disinformazione, Luiss University Press, Roma, 2022). Non solo l’IA generativa è afflitta dai cosiddetti “problemi della allucinazione”, un modo elegante per dire che inventa di sana pianta informazioni e fonti, ma il dilemma della black box non permette nemmeno agli sviluppatori di conoscere con esattezza come l’input venga generato in qualità di output. In altre parole, per Prencipe e Sideri, così com’è l’algoritmo generativo demolirebbe lo stesso modello di business di Google. Eppure, risolto questo problema – con la fusione di entrambi gli algoritmi – rimane il tema dell’astrattezza del linguaggio. L’algoritmo generativo massimizza le probabilità di combinazioni tra parole. Questo aiuta a simulare qualsivoglia stile. Tuttavia la creatività non richiede di simulare bensì di essere originali. Ridotta alla sua essenza probabilistica, l’originalità è la minimizzazione delle probabilità che quella combinazione sia già stata fatta da altri: l’esatto contrario di ChatGPT. Quel che è vero per la capacità di creare vale anche per la scoperta scientifica e la stessa innovazione. La storia della scienza potrebbe essere riscritta come storia dell’improbabilità.
Combattere l’astrattezza del linguaggio
«Il mio ideale linguistico è un italiano che sia il più possibile concreto e preciso. Il nemico da battere è la tendenza degli italiani a usare espressioni astratte e generiche. (I. Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino, 1980) Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire significati, a smussare tutte le punte aggressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze» (I Calvino, 1988, op. cit.). Se le risposte dell’IA generativa sembrano buone, per gli autori, significa che non abbiamo seguito neanche questo ulteriore saggio consiglio di Calvino e ci siamo diluiti noi stessi nell’astrattezza del linguaggio delle parole chiave e delle emozioni.