C’è una parola tedesca che ben rende quel profondo senso di inquietudine dell’uomo contemporaneo dinanzi alle nuove meraviglie della tecnica: unheimlich. Le traduzioni più accurate recitano ‘perturbante’. Il lessema ebbe profondo successo nella letteratura moderna e nella definizione del nuovo stile letterario gotico anche grazie ad un famosissimo saggio di Sigmund Freud: Das Unheimlich, in cui il fondatore della psicoanalisi cercava di indagare la semantica di un termine all’interno del quale era racchiuso tutto il senso della sua ricerca. Insomma, perturbante è ciò che scandaglia, terrorizza, inquieta e, soprattutto, destabilizza l’animo umano. Ciò che, citando direttamente e parafrasando il testo, ‘dovrebbe rimanere nascosto ma che invece si manifesta’. Facile comprendere come si stia facendo riferimento, in questo caso, al fenomeno della rimozione e del trauma. Ma cosa c’entra tutto questo con l’automazione della nuova era tecnologica?

L’unheimlich dell’automazione

Un altro grande autore tedesco, poi, E.T.A. Hoffmann, ancor prima di Freud, collegò per primo il concetto di unheimlich all’automazione. Siamo nel primo decennio del XIX secolo, e in Europa iniziano a circolare i primi automi meccanici: macchine rudimentali in grado di operare in modo, appunto, autonomo. Il termine è oggi usato anche per indicare un robot, più precisamente un robot autonomo, ma più spesso descrive una macchina semovente non elettronica. In quel secolo, questi giocattoli ebbero un enorme successo; ben nota, ad esempio, era Le Canard digérateur (l’anatra digeritrice) di Jacques de Vaucanson, salutata nel 1739 come il primo automa capace di digestione, così come gli umanoidi dell’orologiaio Pierre Jaquet-Droz. Questi automi diventano, infatti, alcuni dei protagonisti dei Racconti Notturni di Hoffmann, racconti brevi, ricchi di tensione, suggestione ed inquietudine che scaturiscono direttamente dall’incontro dell’uomo con tali macchine. Ma perché? La risposta è chiara: l’automazione in sé. L’automazione è unheimlich per sua stessa natura, si ha la netta sensazione che si tratti di un qualcosa che ‘dovrebbe rimanere nascosto’ per il bene dell’uomo. Le sue potenzialità sono tali da mettere in discussione l’uomo stesso, i suoi valori, il suo lavoro e tutto il resto.

Il lavoro ci rende umani?

Creare automi in grado di assisterci in tutto e per tutto, automatizzare alcuni processi, contiente in sé la paura stessa di esserne scalzati. Questa che stiamo vivendo è certamente l’epoca dell’automazione, fortemente criticata da molti, aspramente temuta da altri, soprattutto sul versante del lavoro e dell’economia. Il lavoro, infatti, che è alienazione ed automazione di processi per definizione, a parte qualche ruolo più creativo che comunque tra qualche anno le intelligenze artificiali riusciranno benissimo ad occupare, diventa di fatto la prima vittima di questa incursione delle macchine nel dominio dell’umano: il lavoro è il feudo che le nuove tecnologie si apprestano a conquistare, perché più rapide, più efficienti, più automatizzate.

Il nuovo libro di Aaron Benanav

Dai giganti della Silicon Valley ai politici, dai tecno-futuristi ai sociologi, tutti sono concordi che l’era che ci apprestiamo a vivere è quella dell’automazione. In questa nuova epoca anche il lavoro – con il suo significato, il suo valore, il suo impatto sociale, politico ed economico – non sarà più come lo conoscevamo. I rapidi progressi nell’intelligenza artificiale, nell’apprendimento delle macchine e nella robotica sono in procinto di trasformare i processi lavorativi automatizzandoli completamente. Già ora sfrecciano camion senza conducente e cani robotici trasportano attraverso pianure desolate armi destinate ai militari. Nelle fiere di robotica si mettono in mostra macchine in grado di cucinare, avere rapporti sessuali e perfino sostenere una conversazione. Ci stiamo dunque avviando verso il crepuscolo del lavoro umano? Secondo Aaron Benanav ci sono molti buoni motivi per dubitare di tutta questa frenesia futurista.

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Automazione del lavoro: dal sogno all’incubo

Del resto, anche se l’automazione dovesse comportare la liberazione collettiva dalla fatica fisica del lavoro, noi continueremmo comunque a vivere in una società nella quale la maggior parte delle persone deve lavorare per vivere, il che significa che il sogno di una totale emancipazione potrebbe trasformarsi nell’incubo (Traum) di una disoccupazione di massa. In questo libro Benanav sconfessa il facile entusiasmo per l’automazione e il furore digitale proponendo un ripensamento radicale del rapporto tra macchine e umani, digitalizzazione della società e mondo del lavoro, robotica e benessere economico.

L’autore

Aaron Benanav è sociologo e storico dell’economia, professore presso il Dipartimento di Sociologia della Syracuse University. I suoi scritti sono apparsi su Guardian, Boston Review e New Left Review. Prima di entrare alla Syracuse University, Benanav è stato membro della Society of Fellows dell’Università di Chicago.