Se le competenze di settore non sono morte, sono però nei guai. Qualcosa è andato terribilmente storto. Oggi l’America è un Paese ossessionato dal culto della propria ignoranza. Il punto non è soltanto che la popolazione non ne sa molto di scienze, di politica o di geografia (di fatto è così, ma è un vecchio problema). E, in verità, non è neanche un problema, poiché viviamo in una società che funziona grazie alla divisione del lavoro, sistema ideato per liberare ciascuno di noi dalla necessità di sapere tutto. I piloti fanno volare gli aeroplani, gli avvocati dibattono le cause legali, i medici prescrivono farmaci. Nessuno di noi è Leonardo da Vinci, che dipingeva la Gioconda al mattino e progettava elicotteri di notte. E così dev’essere. No, il problema più grande è che siamo orgogliosi di non sapere le cose. Gli americani sono arrivati a considerare l’ignoranza, soprattutto su ciò che riguarda la politica pubblica, una vera e propria virtù. Per gli americani rifiutare l’opinione degli esperti significa affermare la propria autonomia, un modo per isolare il proprio ego sempre più fragile e non sentirsi dire che stanno sbagliando qualcosa. È una nuova Dichiarazione di indipendenza: non riteniamo più ovvie queste verità, le consideriamo tutte ovvie, anche quelle che vere non sono. Tutte le cose sono conoscibili e ogni opinione su un qualsiasi argomento vale quanto quella di chiunque altro. Non siamo di fronte alla tradizionale avversione americana per gli intellettuali e i sapientoni. Sono un professore e lo capisco bene: alla maggior parte delle persone i professori non piacciono.
Quel che è peggio, oggi a colpirmi non è tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza, ma che lo faccia con tanta frequenza e su così tante questioni, e con una tale rabbia. Di nuovo, forse gli attacchi alla competenza sono più evidenti per via dell’onnipresenza di internet, dell’indisciplina che governa le conversazioni sui social media o delle sollecitazioni poste dal ciclo di notizie ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma l’arroganza e la ferocia di questo nuovo rifiuto della competenza indicano, almeno per me, che il punto non è più non fidarsi di qualcosa, metterla in discussione o cercare alternative: è una miscela di narcisismo e disprezzo per il sapere specialistico, come se quest’ultimo fosse una specie di esercizio di autorealizzazione.
Scrivono di La conoscenza e i suoi nemici
Tom Nichols è un professore di Harvard molto preoccupato. Non lo preoccupa l’ignoranza – che è un vecchio problema – ma il fatto che l’ignoranza sia diventata una vera e propria virtù: e questo è un problema decisamente nuovo.
(Michele Serra, La Repubblica, L’amaca)
Accolto come il saggio che coglie alla perfezione gli umori del nostro tempo scettico, Nichols, con il tono diretto del pamphlet ci offre una chiara analisi della crisi del sapere corrente.
(Gianni Riotta, La Stampa)
Questo prezioso saggio ci fa riflettere sulla necessità di correre ai ripari per cecare di salvare la democrazia dalla tirannia dell’incompetenza.
(Sebastiano Maffettone, Il Sole 24Ore)
Analizzando l’era dell’incompetenza e i rischi della democrazia, Nichols smonta l’arroganza della società degli ignoranti, la faciloneria di chi contrappone credenze e scienza, l’approssimazione diffusa contro i tecnici e gli esperti.
(Renato Minore, Il Messaggero)